Il conto delle banche subito più capitale per fermare il contagio

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FRANCOFORTE — Da due giorni fervono a Bruxelles trattative febbrili per raggiungere al più tardi entro mercoledì prossimo un accordo fra i 17 Paesi dell’euro su un pacchetto complessivo per arginare la crisi del debito sovrano e il contagio. Come base di partenza c’è il piano in cinque punti per la stabilità  e la crescita elaborato dal presidente della Commissione Josè Manuel Barroso. Un risultato è raggiungibile soltanto attraverso uno «sforzo coordinato». Ma non sarà  facile trovare una soluzione complessiva, perché tanti problemi sono concatenati, e vanno dalla ridefinizione del secondo pacchetto di aiuti alla Grecia, alla ricapitalizzazione delle banche, allo sviluppo di un piano per potenziare la «leva» e l’utilizzo del fondo salva-Stati Efsf, alle strategie di crescita e al maggiore coordinamento economico.
Uno dei problemi più difficili è la revisione del secondo pacchetto di salvataggio da 110 miliardi di euro per Atene, già  stimato «vecchio» alla sua nascita, nel luglio di quest’anno. Ma con una differenza fondamentale rispetto al primo pacchetto di aiuti del maggio 2010. Su insistenza del governo della cancelliera Angela Merkel, gli investitori privati hanno accettato di perdere il 21% sui titoli greci in portafoglio, da scambiare volontariamente e in via eccezionale con nuovi titoli sicuri da rimborsare in 30 anni.
Senonché, dal 21 di luglio ad oggi la situazione economica e dei mercati si è notevolmente deteriorata. E quindi, mentre la Banca Centrale Europea insiste sul rispetto dell’accordo così com’è, il governo della cancelliera Angela Merkel chiede ora un taglio maggiore del debito, pari al 50-60%, mentre il capo di Commerzbank Martin Blessing ieri ha chiesto perfino un «fallimento ordinato» di Atene. La Grecia e le banche, invece, accetterebbero al massimo un taglio volontario del debito pari al massimo al 30-40%. A patto però, che non venga scatenato un credit-event, un fallimento di Atene, che condurrebbe alla necessità  di ripagare le assicurazioni dei «credit default swap», i titoli derivati che assicurano il «rischio-Paese». In questo caso, secondo la Bce e alcuni economisti, il contagio sarebbe devastante e potrebbe trascinare con sé altri Paesi sani, come Italia e Spagna.
Comunque sia, i mercati hanno già  cominciato a prezzare una perdita di valore dei titoli sovrani ellenici pari al 50%. Non più tardi del luglio scorso, gli stress test effettuati dall’Eba, l’European Banking Authority guidata a Londra dall’italiano Andrea Enria, avevano bocciato solo 8 banche su 89, e acceso i fari su altre 17, che avrebbero dovuto aumentare il capitale entro aprile 2012. Ma dall’inizio dell’agosto scorso la situazione si è deteriorata notevolmente, sia nei mercati, sia nell’economia reale. Per questo l’Eba, nelle ultime settimane ha richiesto nuovi dati agli istituti bancari europei. In base ad essi ha già  fatto sapere che sarà  necessario procedere a ricapitalizzare le banche. Secondo indiscrezioni circolate a Bruxelles sul piano dell’Eba, non ancora confermate, saranno necessarie altre iniezioni di capitale superiori ai 100 miliardi di euro, legate a un incremento dei coefficienti di capitale Core Tier 1 delle banche al 9% entro l’inizio della prossima estate. Le ricapitalizzazioni potranno avvenire dapprima attraverso canali di rifinanziamento privati. E a partire dalla seconda metà  dell’anno prossimo potrebbe scattare un obbligo di aumento del patrimonio degli istituti con fondi statali, sulla falsariga di quanto avvenuto negli Usa attraverso il fondo Tarp (Troubled Assert Relief Program).
Il piano, sul quale sembra esserci un accordo di base nella Ue, dovrebbe essere approvato in via definitiva dal Consiglio europeo entro mercoledì prossimo e coinvolgerebbe un numero di banche simile a quello degli stress test di luglio. Secondo primi calcoli, per le banche italiane e francesi lo sforzo maggiore richiesto dalle autorità  ammonterebbe a circa 10 miliardi di euro, a circa 5 miliardi per le banche tedesche (che hanno già  svalutato i titoli in portafoglio), mentre gli istituti più colpiti saranno quelli spagnoli (ma i dati sono rimasti top secret).
Altro elemento importante è che, per calcolare il nuovo coefficiente di capitale, sarà  utilizzata la valorizzazione dei titoli secondo il principio del mark-to-market (cioè secondo il prezzo del mercato) e non solo per il valore contabile delle attività  disponibili per la vendita.
Si tratta però di cifre ancora temporanee, in assenza di un accordo sul pacchetto complessivo e soprattutto sulle questioni controverse legate al potenziamento del fondo salva-Stati Efsf, e del debito greco. Per questo le stime in circolazione variano fino a raggiungere i 250 miliardi calcolati in un primo tempo dal Fmi e da alcune investment bank anglosassoni, a seconda se si includa anche un eventuale fallimento di Atene e lo scatenarsi dell’effetto domino anche sui titoli di altri paesi europei. E una grande incognita rimane anche l’effetto restrittivo che potrebbero avere gli aumenti di capitale sull’andamento dell’economia già  in pesante rallentamento, attraverso un calo dei crediti concessi a famiglie e imprese.


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