Il figlio di Riina torna a Corleone la rabbia del sindaco: non è gradito

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CORLEONE – Qui nessuno dice di averlo visto. Come quegli uomini con la coppola nera, nati, cresciuti e invecchiati sulle panchine della piazza di fronte al bar dell’amaro “Don Corleone”, che alla domanda «Avete visto Giuseppe Riina in giro? È tornato?», rispondono: «Noi non siamo di qua». Ma il secondo dei figli del “capo dei capi”, quello che ha fatto professione di una nuova vita dichiarando di non voler tornare mai più in Sicilia per trasferirsi a Padova e mettersi a lavorare in una onlus, a sorpresa è rientrato in paese, costretto da un provvedimento notificatogli all’uscita del carcere di Voghera, dove ha finito di scontare gli 8 anni e 10 mesi per associazione mafiosa. Soggiorno obbligato a Corleone, obbligo quotidiano di firma e rientro in casa entro le 21: un vecchio provvedimento di misure di prevenzione adottato dal tribunale di Palermo prima del ritorno in carcere del giovane Riina nel 2008, e che ora sospende la nuova misura di sorveglianza che gli era stata concessa a Padova. Una sorpresa anche per gli avvocati che annunciano già  ricorso in Cassazione, che smussa le tensioni scatenate dalla «rivolta» di amministratori leghisti pronti a salutare con le barricate l’arrivo di Riina in Veneto.
«Confuso ma felice per il ritorno in libertà », così gli avvocati hanno descritto “Salvuccio”, come tutti chiamano questo giovane che, per i giudici, è già  un capomafia affermato. La prima cosa che ha chiesto loro è una copia di Repubblica con i recentissimi verbali del padre ai magistrati di Caltanissetta. Ma se in Veneto gli animi si placano, in Sicilia c’è chi ha il coraggio di chiudere la porta in faccia ad un Riina. È il sindaco di Corleone, Antonino Iannazzo: «Riina junior non è persona gradita qui. In questi anni non abbiamo constatato alcun elemento di pentimento da parte sua, non ha rinnegato il suo passato. Se nostro malgrado dovesse rimanere qui, allora non potremo fare altro che innalzare il livello di attenzione per garantire che il percorso di legalità  e trasparenza intrapreso dal Comune vada avanti. Credo che la presenza a Corleone di Giuseppe Salvatore Riina sia pericolosa per la comunità ».
Giuseppe Riina ieri ha preferito non farsi vedere in giro. È arrivato nottetempo nella casa di via Scorsone e ne è uscito ieri mattina solo per andare a firmare al commissariato di polizia. Poi nessuno lo ha più visto. Inutile provare a suonare a tutti i campanelli senza targhetta. Nessuna risposta. Solo una donna appare per un attimo dietro le persiane semichiuse. Potrebbe essere sua madre, Ninetta Bagarella, la donna che – dopo aver condiviso con Totò Riina 40 anni di latitanza – ha dichiarato di voler «provare a salvare almeno un figlio» tenendolo lontano dalla Sicilia. Nella piazza Falcone e Borsellino, là  dove il giovane Riina anni fa aveva partecipato al danneggiamento della lapide intitolata ai due magistrati, in pochi accettano di parlare. Al bar “Sweet Temptation” un avventore dice: «Ha scontato la sua pena. Questo è il suo paese. Perché non dovremmo accettarlo?». Ma la Corleone di oggi, dove i giovani non hanno più paura di coltivare le terre confiscate a suo padre e parlano di antimafia a scuola, sembra più quella descritta da Dino Paternostro, segretario della Camera del lavoro: «Il paese sta facendo il massimo sforzo per liberarsi dai condizionamenti mafiosi, ma è ancora come un convalescente, e ha bisogno in questa fase dello Stato, per far sì che si completi il processo di liberazione».


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