Il premier: arrivo al 2013 Non cadrò certo per gli imprenditori

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Se ne parlerà  a inizio settimana, martedì o mercoledì, in un vertice di maggioranza ufficialmente convocato per discutere di «economia», in realtà  per mettere a punto la scelta per Palazzo Koch e respingere l’offensiva che arriva — sempre più pressante — dal fronte imprenditoriale.

Il Cavaliere — raccontano — vive come una sorta di ingiusto tradimento le critiche durissime che gli arrivano dagli industriali, e certo non ha gradito il manifesto di Diego Della Valle contro i politici che non pensano al bene del Paese. Ma — dicono i suoi — non sono queste le mine che vede disseminate sul suo cammino: «Anche Napolitano ha preso le distanze dall’antipolitica» e non saranno dunque Della Valle o Montezemolo «a far cadere un governo che gode della fiducia del Parlamento». E che, è la sua fermissima intenzione, deve «andare avanti fino al 2013» per «raggiungere il pareggio di bilancio», varare «una grande riforma fiscale» e dare al Paese «una nuova architettura istituzionale».

Ma se questi sono gli obiettivi massimi, non si perdono di vista quelli minimi e immediati. Il primo dei quali è superare lo snodo del referendum, che potrebbe rappresentare sia l’à ncora di salvezza per il governo, sia la mannaia che ne decreta la fine. È infatti giudicata «sorprendente» l’uscita di Bobo Maroni sul referendum (va fatto svolgere e va bene una legge come il Mattarellum). C’è chi, nella stessa cerchia ristretta dei collaboratori del premier, ritiene che «Bobo si sia solo voluto mettere al centro della scena, intercettando un sentimento popolare». E c’è chi invece ritiene che il calcolo del ministro sia più sottile: «Vuole andare al voto anticipato, per spezzare l’asse tra Bossi e Berlusconi e prendersi la Lega».

In ogni caso, le diverse lingue parlate dalla Lega sul referendum, nonché le proposte in ordine sparso che fioccano nella maggioranza su un’ipotesi di nuova legge elettorale, fanno ritenere molto difficile il varo di una riforma che impedisca lo svolgimento della consultazione. Ufficialmente, sia la Lega con Calderoli sia il Pdl con Cicchitto e Quagliariello indicano la strada da seguire: prima si dovrà  votare la riforma istituzionale, poi la si completerà  con la legge elettorale. Ma i dubbi di Osvaldo Napoli («È verosimile che tutto ciò accada entro maggio, con questo clima?») sono gli stessi che nutre Berlusconi. Che si starebbe convincendo dell’impossibilità  di impedire il voto sul referendum, ma anche della relativa utilità  che si potrebbe trarre dal non mettersi di traverso alla consultazione referendaria: se — è il ragionamento che si fa nel suo entourage — si fissa il voto sul referendum a giugno, si lavorerà  dopo l’estate ad una nuova legge, e il governo potrà  andare avanti senza scossoni.

Sempre che lo «scossone» non arrivi da altri fronti: economia, giustizia, o il tanto temuto «incidente» che porterebbe a questo punto — teme il premier — più a un governo tecnico o istituzionale che al voto. Per questo, bisogna comunque tenere caldo il tema delle riforme e della legge elettorale, mostrarsi attivi e al lavoro. E soprattutto pronti ad adattare la strategia alla situazione contingente, perché «bisogna andare avanti fino al 2013».


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