Il supercomitato euro e i paletti alla sovranità 

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MILANO — Joachim Fels non è il solo a pensarlo, ma è probabilmente il più esplicito: secondo l’economista di Morgan Stanley, il risultato più rilevante dei vertici di Bruxelles di questi giorni riguarda l’argomento di cui si parla meno. Né il fondo salvataggi né la sforbiciata al valore del debito greco né le ricapitalizzazioni bancarie. Piuttosto, dice Fels, «una dichiarazione d’intenti di muovere verso un’integrazione di bilancio e, a questo scopo, installare una commissione per produrre proposte concrete per cambiare il Trattato».
Il nuovo gruppo di lavoro, una sorta di comitato Delors redivivo, potrebbe essere guidato da Jean-Claude Trichet o da Alexandre Lamfalussy. E l’obiettivo, lontano ma dichiarato, sarebbe un’unione di bilancio nell’unione monetaria. Qualcuno lo chiama Eurobond, per altri sarebbe un’«unione dei trasferimenti». Quale che sia il nome all’anagrafe è il risultato che conta: anche i tedeschi hanno accettato l’idea che una gestione di fatto comune dei bilanci e dei debiti è necessaria alla sopravvivenza dell’Europa. Ma non verrà  gratis. La contropartita che di fatto la Germania ha già  estratto è la fine della sovranità  delle politiche economiche come la conosciamo. Poiché altri Paesi si faranno carico dei rischi se qualcosa va storto in ciascuna economia del club, nessuno potrà  più fare ciò che vuole senza il consenso di tutti.
In questo l’Italia, dopo la Grecia, è diventata l’esperimento in vivo dell’Europa che sarà . Lo è perché per il Tesoro di Roma avere tassi decennali al 6% anche dopo che la Bce ha comprato Btp per 60 miliardi di euro, significa una cosa sola: oggi il governo non potrebbe finanziarsi, né pagare i suoi debiti né gli stipendi degli statali o le pensioni se non fosse attaccato alla macchina salva vita dell’Europa. In condizioni del genere, la sovranità  nazionale non è già  più un concetto a tutto tondo.
Non è un caso se ieri il presidente Nicolas Sarkozy si sia permesso (purtroppo) di citare nella stessa frase proprio i premier di Roma e di Atene: «Io e la cancelliera Angela Merkel — ha fatto sapere il presidente francese — abbiamo incontrato Berlusconi e Papandreou per ricordar loro le responsabilità  che hanno». Ma la Grecia è un’economia da tempo insolvente e in piena depressione, il cui governo di fatto è obbligato ad agire sotto dettatura dell’Europa e del Fondo monetario. Nel comitato privatizzazioni di Atene siedono un esponente dell’Eurogruppo e uno della Commissione di Bruxelles, di fatto commissariando i greci.
L’Italia invece è lontana da una patologia simile, ma l’erosione della sua sovranità  sta diventando lo stesso la prova generale dell’Europa che sarà . Molti in Europa hanno infatti preso nota di come Silvio Berlusconi solo pochi giorni parlava del rinvio del decreto sviluppo: «Una settimana in più o in meno non fa differenza, ci inventeremo qualcosa».
Ma una differenza l’ha fatta: poiché l’Italia è arrivata a Bruxelles a mani vuote, i leader franco-tedeschi hanno incontrato Berlusconi per dettargli i tempi. Le misure per la crescita — apertura al mercato, piano di cessioni di società  pubbliche, giustizia civile, efficienza dell’amministrazione — dovranno arrivare entro mercoledì. Quel giorno dovrebbe concludersi a Bruxelles il vertice semipermanente più lungo che l’Unione Europea ricordi. E dietro la cortina di acronimi e tecnicismi, al cuore del summit c’è proprio l’Italia. Se si trattasse di difendere la sola Spagna infatti il fondo salvataggi avrebbe sufficienti risorse, e peraltro Madrid ha reagito difendendosi da sola. È l’Italia che deve finanziarsi sul mercato per 680 miliardi fra il 2012 e il 2104, dunque i complessi meccanismi di salvataggio sono pensati soprattutto per il governo di Roma. Di qui la richiesta pressante di garanzie immediate, al punto da dare l’impressione che lo spazio di sovranità  economica del governo è ormai ridotto a ben poco.
A rafforzare il messaggio contribuisce del resto un altro fenomeno di questi giorni: il rallentamento della Bce negli acquisti di titoli di Stato italiani sul mercato. C’è chi pensa sia una scelta politica per accrescere la pressione perché il governo persegua con più decisione risanamento e riforme. Purtroppo la realtà  è più cruda: l’Eurotower percepisce che non può remare da sola contro la sfiducia del mercato, dunque rallenta il ritmo degli aiuti. Del resto la sua operazione di soccorso all’Italia è stata fin qui in buona parte un insuccesso: il governo ha fatto solo il 40% degli interventi che la Bce chiedeva di affrontare. E i tassi d’interesse non sono scesi come si voleva a Francoforte. Prima o poi, neanche le «colombe» della banca centrale saranno più in grado di difendere un’operazione che non sta funzionando. A quel punto saranno solo Merkel e Sarkozy a dettare la linea a Roma, sperando che abbiano idee migliori di quelle che hanno aggravato la crisi fin qui.


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