Il tifo della platea americana

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«Drammatico! Drammatico!» esclamava agitato Wolf Blitzer della Cnn nel Te Deum collettivo di un’America che si era identificata con quella ragazza diventata legalmente e ingiustamente assassina, in terra straniera, come se le parole dovessero sottolineare quello che da quattro anni era stato costruito in un crescendo rossiniano. L’America che pretende il diritto di processare, giudicare a volte giustiziare anche cittadini stranieri come è accaduto in passato, aveva trovato in Amanda Knox il segno di un’offesa nazionalistica, ancor prima che giudiziario, vista la evidente precarietà  degli indizi contro di lei e contro Raffaele Sollecito. E persino il Dipartimento di Stato ieri sera ha ritenuto di dover esprimere la propria soddisfazione per “l’attenta considerazione della vicenda nell’ambito del sistema giudiziario italiano”.
L’America processa, ma non tollera di essere processata. Quella che nella narrazione dell’accusa era stata descritta come una diavolessa affamata di sesso e di orge, era cresciuta, in proporzione inversa nella opinione pubblica Usa, come una casta diva caduta in una ragnatela di uomini inetti e malvagi.
La veglia di una nazione eccitata da una giornata di «slow news», di scarse e banali notizie – un incendio in Texas, le udienze del processo per la morte di Michael Jackson e l’immancabile «prima neve» caduta sulla Pennsylvania – era cominciata con l’orazione autodifensiva della «Fanciulla del West», tradotta in simultanea su tutte le reti di notizie 24/7, a tutte le ore tutti i giorni.
Nella fame insaziabile delle reti televisive «all news», di notiziari continui come Cnn, Fox News, Msnbc, casi come questo processo al processo, dove la vera imputata era la Giustizia italiana e i suoi misteriosi riti, sono nutrimento perfetto per quella che i giornalisti delle tv chiamano «the beast», la belva che va continuamente alimentata. Casi come questo della studentessa impigliata nel fermaglio di un reggiseno e nel mondo crepuscolare di una città  straniera sono stati perfetto melodramma, con prologo, coro, balletti, luci di riflettori accesi nella notte contro la facciata del Tribunale di Perugia, gabbioni, poliziotti e carabinieri in uniforme come in un film dell’orrore. Un film verità , con quinte, scenari, comparse, protagonisti, sangue, sesso e la perfetta «ingenue», la vittima travolta dal destino e salvata in extremis. «Dobbiamo capire che siamo di fronte a un sistema giudiziario completamente diverso dal nostro» spiegava James Tubin, l’esperto legale della Cnn ed ex magistrato lui stesso, illustrando i misteri del processo d’Appello italiano. L’elemento dell’esotico, la forza della penombra di un’antica, bellissima e innocente città  umbra, sono stati scenari essenziali nella sceneggiatura di un dramma profondo e autentico nella sostanza di una vita stroncata, quella della vittime e di due vite appese a una sentenza, quella di Sollecito e della Knox.
Ed era curioso che nel tribunale dell’opinione pubblica americana, quello che ha processato e condannato la macchina delle indagini «approssimative», «contaminate nelle prove», «condotte con guanti sporchi» e «al di sotto degli standard minimi internazionali» secondo l’esperto dello Fbi e professore alla Boise State University, Greg Hampikian interpellato da ogni studo tv, non si accennasse mai alla sola vittima certa, Meredith Kercher. L’invocazione della vittima è uno dei mantra della giustizia americana, ma non per Meredith.
L’incubo di Amanda era diventato la delizia dei produttori di televisione, decisi a titillare e quindi tenersi stretto il pubblico con un conto alla rovescia durato le undici ore della Camera di Consiglio e rinfocolato dal sempre efficace trucco delle «breaking news». Quindici minuti, quattro minuti, annunciavano gli inviati e le inviate, narrando i dettagli delle ore in cella di Amanda «che recitava preghiere e intonava salmi e inni religiosi», elemento cruciale per il folto pubblico di devoti cristiani.
«Si terge le lacrime dal viso» mormorava l’anchor woman di Fox News, con il groppo lei stessa in gola, mentre la segretaria del gruppo di sostegno e di ascolto a Seattle, «Friends of Amanda» raccontava che nella città  sul Pacifico gli amici e i sostenitori innocentisti «si erano raccolti alle quattro e mezza del mattino», a nove fusi orari da Perugia, «per fare colazione insieme, farsi coraggio e ascoltare le parole di Amanda». Alla fine, un processo a una cultura diversa, uno scontro di culture, prima che un caso giudiziario. Se un sonoro resterà  per sempre nella memoria dei telespettatori americani che hanno seguito il lancio dell’assoluzione alla una del pomeriggio di Seattle sarà  il coro di «buuuu» e di «vergogna» udito all’uscita dall’aula, mescolato alle grida di «vittoria, vittoria», secondo lo schema del tifo calcistico e delle curve. Amanda, appena avrà  il proprio passaporto convalidato, volerà  verso le isole, le foreste e gli istmi del Nord Ovest. «Ma perchè gli italiani non vogliono credere che questa ragazza sia innocente?» si domandava Wolf Blitzer. Dimenticando che sono stati giudici e giurati italiani a scrivere il lieto fino del melodramma.


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