La barbarie e il silenzio d’Occidente

by Sergio Segio | 22 Ottobre 2011 7:19

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Non è giusto ed è orribile, ma è forse inevitabile che i sudditi facciano cadere le teste e che i ribelli si vendichino dei propri aguzzini, facendo piazza pulita a tutti i livelli: dal vicino di pianerottolo che faceva la spia ai pretoriani del regime, dai gerarchi ai figli e parenti del capo.
In queste ore, i ribelli ritraggono le proprie esecuzioni e l’odio diventa un souvenir. La differenza è forse solo tecnica, poiché il boia o il miliziano impugnano con una mano la pistola e con l’altra il telefonino, offrendo al mondo un lugubre verbale high tech, che ha almeno il vantaggio di rendere superflue lunghe indagini internazionali sulle responsabilità  di chi ha ucciso e di chi ha dato l’ordine. In questo quadro, i nuovi padroni della Libia sembrano aver deciso di evitare processi interni o internazionali, che rispettano le forme della legge, anche quando la sentenza (come nel caso di Saddam Hussein) è scontata. Preferiscono la giustizia sommaria e l’azione risoluta sul campo di battaglia, un po’ come il commando dei marines che ha eliminato Bin Laden: un colpo alla testa e sepoltura in alto mare o in luogo sconosciuto, nella presunzione che la partita sia chiusa per sempre. Difficile immaginare un cittadino americano che abbia avuto un sussulto di pietà  dopo le immagini dell’assalto.
È emblematica la quasi totale assenza di reazioni sdegnate in Europa e in Occidente per la sorte di Gheddafi e dei suoi figli, come se si volesse evitare che la loro fine venga associata all’ultimo attacco dal cielo che ha agevolato la cattura e di fatto messo fine alla guerra. Missione compiuta dunque, nella convinzione che un giorno di barbarie valga la fine di un regime odioso e il futuro di libertà  e democrazia per cui si è combattuto. Ma questo è appunto il drammatico dilemma dei vincitori — di tutti i vincitori — quando non ci sono né pietà  per gli sconfitti, né giusta punizione, ma soltanto vendette che chiamano altro sangue e alimentano il rancore. Nessun popolo costruisce un futuro di pace e prosperità  senza riconciliarsi con se stesso e con la propria storia.

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