La Grecia si ferma Scontri ad Atene

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BRUXELLES — George Papandreou è figlio e nipote di primi ministri greci. Ma con lui, la sua dinastia politica è finita. Parola di Michael Lewis, lo scrittore americano di finanza che predisse con i suoi libri gli scandali di Wall Street: e che ora profetizza appunto la cacciata di Papandreou, il fallimento di Grecia e Irlanda, lo tsunami sull’Eurozona. Probabilmente, è solo fantasia romanzesca, anche perché Angela Merkel ha appena detto che la Grecia deve restare nell’euro: ma quello che ieri si è visto e sentito ad Atene, non è poi così lontano dalla profezia. L’ultimo sciopero generale contro le misure di austerità  ha riempito di manifestanti la capitale, ha bloccato gli aeroporti, il porto del Pireo, scuole e uffici pubblici.

Si è alzato il fumo dei lacrimogeni. Cinque ministeri sono stati in parte occupati dai manifestanti per il terzo giorno consecutivo. Con loro hanno sfilato poliziotti e pompieri in divisa. E fra la folla sono comparsi soldati e ufficiali della riserva, dell’esercito e della marina, infuriati per i tagli alle loro pensioni: qualcuno ha ricordato le immagini del 21 aprile 1967, i «giorni dei colonnelli». Un altro sciopero generale nel Paese è stato già  fissato per il 19 ottobre, il ministro dell’Interno è così preoccupato che propone di sottoporre a referendum nazionale —«così la gente può esprimersi»â€” il piano per l’austerità . Ma quel piano è necessario per avere i fondi internazionali, e limare i 353 miliardi di euro in cui si racchiude il debito pubblico greco (5 volte tanto il “buco” argentino di 10 anni fa). Nelle casse pubbliche ci sono soldi fino a metà  novembre.

Nei primi 9 mesi del 2011, le entrate dello Stato sono state inferiori del 4,2% rispetto allo stesso periodo del 2010. E perché il bilancio 2011 non deragli del tutto, da qui al 31 dicembre bisogna raggranellare 5,5 miliardi al mese, in totale 16,6 miliardi. Fonti di Bruxelles dicono ora che è «probabile», ma non «scontato», che Atene riceva gli ultimi 8 miliardi stanziati da Unione Europea, Fondo monetario internazionale, e Banca centrale europea. Aggiungono poi che il rischio di un rifiuto dell’intervento di aiuto «c’è sempre».

Mentre l’Fmi dice di peggio, almeno dal punto di vista ateniese: «Non c’è urgenza di dare soldi alla Grecia, non ne ha bisogno ora». E poi: poiché si è scoperto che certi dati forniti finora erano troppo addolciti, che la recessione è iniziata in realtà  nel 2008 e non nel 2010, e che perciò il futuro finanziario di Atene sarà  ancor peggiore del previsto, cambieranno anche le condizioni del prossimo prestito da 109 miliardi, quello deciso appena il 21 luglio. E questa è la vera notizia. L’accordo del 21 luglio era basato sulla previsione che nel 2012 la Grecia sarebbe tornata alla crescita economica, sia pure con un flebile +0,6%. E fino a oggi, quell’accordo prevedeva infatti una perdita limitata al 21 per cento per le banche e altri creditori privati che avessero in tasca titoli greci, e che accettassero «volontariamente» di rinegoziarli a condizioni più sfavorevoli; ma adesso quel +0,6% viene smentito, e si parla di un nuovo «haircut», taglio e spazzolatura di capelli come dicono i tecnici del ramo, che dovrebbe arrivare al 50% del valore di quegli stessi titoli. Cioè ai confini del “default”, l’insolvenza nazionale. Forse Michael Lewis, lo scrittore finanziario di Manhattan, non è poi così fantasioso, ha solo buon fiuto.


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