«A Lampedusa migranti come detenuti»

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 STRASBURGO. I centri d’accoglienza dei migranti sull’isola di Lampedusa assomigliano troppo a luoghi di detenzione, dice un rapporto diffuso lunedì sera dall’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. Redatto sulla base del sopralluogo nell’isola compiuto da cinque parlamentari guidati dal britannico Christopher Chope, questo rapporto è l’ennesimo allarme sollevato in ambito internazionale circa la situazione dei migranti che sbarcano in Italia – in particolare le migliaia di persone arrivate dall’inizio dell’anno, quando la rivolta in Tunisia prima e il conflitto in Libia poi si sono tradotti in ondate di sbarchi in condizioni sempre più fortunose: al 21 settembre scorso 55.298 persone erano arrivate via mare a Lampedusa (di cui oltre 27mila dalla Tunisia e quasi 28mila dalla Libia, per lo più cittadini di moti paesi dell’africa sub-sahariana). Molti hanno trascorso parecchie settimane nell’isola, e tuttora migliaia restano nei due centri di «accoglienza» riaperti nell’isola per l’occasione (dopo essere stati dismessi negli anni scorsi, quando l’accordo bilaterale del governo italiano con la Libia di Gheddafi aveva largamente bloccato il flusso: i migranti finivano nei centri di detenzione libici senza arrivare a quelli italiani). Sono numeri alti per la piccola Lampedusa, 20 chilometri quadrati con 4.500 abitanti: ma se per l’isola è un peso sproporzionato, «certo non è una crisi per l’Italia né per l’Europa», ribadisce il Consiglio d’Europa (lo aveva dichiarato fin da febbraio, facendo infuriare il ministro dell’interno italiano Roberto Maroni che aveva appena dichiarato lo «stato d’emergenza umanitario»).

Il rapporto sottolinea diversi motivi di allarme. Dice che i migranti a Lampedusa si trovano nella condizione di detenuti di fatto, a cui non è garantita la possibilità  di comunicare con le famiglie né l’accesso a informazioni esaustive sulle protezioni internazionali (la possibilità  di chiedere asilo). Si scandalizza perché manca unaccoglienza specifica ai minori sbarcati da soli. Si allarma per il provvedimento del governo che prolunga a 18 mesi il periodo in cui queste persone possono essere trattenute. Il sopralluogo compiuto dai cinque parlamentari della Commissione su migranti e rifugiati delll’Assemblea parlamentare d’Europa (tra cui un italiano, Giacomo Santini, che ieri stranamente ha criticato le conclusioni: eppure le aveva redatte e votate insieme ai suoi colleghi…) è avvenuto il 23 e 24 maggio (e «le cose non sono certo migliorate nel frattempo», sottolineava ieri Chope), anche se dati e considerazioni sono aggiornati agli eventi più recenti. Ad esempio all’incendio scoppiato il 20 settembre nel più grande dei due centri d’accoglienza dell’isola, Contrada Imbriacola, dove si trovava oltre un migliaio di tunisini (considerati «migranti economici» e lasciati là  a marcire, separati dai «potenziali richiedenti asilo»): «La fiammata di violenza non è una sorpresa. La politica italiana di trattenimento dei migranti tunisini a Lampedusa è in effetti problematica». I centri d’accoglienza devono «fornire assistenza ai migranti, non trasformarsi in centri di detenzione», insiste Chope: l’Italia deve chiarire lo status giuridico del trattenimento di fatto.
I parlamentari europei criticano anche la decisione di dichiarare Lampedusa «porto non sicuro»: significa che l’Italia si scarica di responsabilità , e che la traversata di migranti e profughi «sarà  ancora più lunga e pericolosa, e anche le operazioni di salvataggio più difficili». Il punto è che per la sua collocazione geografica «Lampedusa resta ancora in prima linea nell’arrivo via mare di flussi misti, in particolare dalla Libia», si legge nel rappporto: l’Italia e l’Europa devono prepararsi a arrivi potenzialmente ancora più numerosi. Ma Lampedusa deve essere punto di passaggio, ha strutture inadeguate e non si può lasciarvi migliaia di persone a tempo indefinito. La commissione del Consiglio d’Europa apprezza, anzi considera un modello l’esperienza del «Praesidium project», il coordinamento operativo tra le autorità  pubbliche, organizzazioni dell’Onu, Croce rossa e alcune Ong internazionali. Ma si allarma per il nuovo accordo stipulato da Roma con le autorità  provvisorie di Bengasi in Libia (che ricalca l’accordo fatto a suo tempo con Gheddafi): «La situazione in Libia non è abbastanza sicura e stabile perché delle persone possano essere là  respinte», l’Italia non può impedire l’accesso a persone che hanno diritto alla protezione internazionale. Né è esentata dall’obbligo di salvataggio di persone in mare, ricorda il rapporto.


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