La strategia contro gli Indignati «Fuoco e rivolte come ad Atene»

by Sergio Segio | 16 Ottobre 2011 6:35

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ROMA — Se chi sfila ordinato prendendo la via del Colosseo si sente gridare «pecora!» perché non decide di affrontare il cordone di polizia e dare l’assalto al Parlamento, vuol dire che qualche problema c’è. Non tanto per via del ragazzo vestito di nero che si sgola insultando i manifestanti nel velleitario quanto inutile tentativo di deviare il corteo, ma perché altrove qualcun altro che la pensa come lui — molti di più, e molto più decisi — nel frattempo è passato alle vie di fatto. Non contro i palazzi del potere, ma contro gli «indignati» che volevano fare come in Spagna, proteste visibili ma pacifiche, arrabbiati ma senza passare dalla parte del torto.

Loro invece, i «duri» venuti appositamente per rompere i piani e gli schemi preparati dal «comitato 15 ottobre», vogliono fare come in Grecia: violenze di piazza, colorate più di rabbia che di politica. Anzi, la rabbia che prende il sopravvento sulla politica e finisce per travolgere chi, anche dalle posizioni più estreme, tenta comunque di proporre un’alternativa organizzata. Antagonista ma costruttiva. Loro no. Hanno in testa l’insurrezione, e se il contesto generale non la lascia prevedere in tempi brevi si sfogano impedendo agli altri di prospettare ipotesi più ragionevoli.

Evaporati i fumi degli scontri e cessato l’urlo delle sirene, è questa la prima immagine che offre la giornata del 15 ottobre 2011, figlia legittima della protesta degenerata del 14 dicembre 2010. Anche allora ci furono fuochi e vetri infranti, e si parlò di guerriglia per molto meno di quanto è accaduto ieri. In quell’occasione la rivolta fu improvvisa e improvvisata, «ragazzini non controllati da nessuno», dissero gli organizzatori della manifestazione ufficiale. Ieri c’è stato il seguito, ma diverso e più incisivo. Pianificato, studiato a tavolino.

Chi conosce la geografia del movimento antagonista contemporaneo parla di alcune centinaia di persone — in parte romane, in parte arrivate da fuori — che s’erano preparate a spaccare il corteo e a farlo fallire. C’è pure chi cita qualche esempio: gente che gravita intorno al centro sociale Acrobax, al magma riunito nel nome di un evocativo «San Precario», gruppi organizzati napoletani, anarchici sparsi, spezzoni del tifo livornese che non hanno mai nascosto lo schieramento nell’estrema sinistra, e altre sigle ancora.

«Io non faccio la spia, e i conti preferisco regolarli dentro casa — spiega Andrea Alzetta, noto anche col soprannome di «Tarzan», il militante del collettivo Action eletto nel consiglio comunale di Roma — ma quei ragazzi incappucciati che hanno fatto gli scontri sono i nostri figli e fratelli minori. Sono ragazzi arrabbiati e disperati ai quali non basta la sponda politica che noi cerchiamo di offrire. E se la politica non cambia, se neppure il movimento antagonista riesce a individuare una prospettiva credibile, lo scenario purtroppo è e sarà  questo».

Alzetta parla dopo aver abbandonato piazza San Giovanni, resa impraticabile dai disordini. E alla fine di una giornata che certo non è andata come auspicavano gli organizzatori, il promotore di tanti cortei è costretto ad ammettere che anche tra chi non si copre coi cappucci e non tira pietre c’è il rischio che prenda piede una certa simpatia verso chi lancia gli assalti agli sportelli dei bancomat o alle camionette dei carabinieri: «Le opzioni politiche evidentemente non riescono a soddisfare le esigenze diffuse, e questi sfoghi trovano spazi maggiori di quelli che potevamo immaginare. Magari fomentati da chi, vista la pochezza della propria ipotesi politica, non trova di meglio che cavalcare la rabbia sociale senza saperla governare».

Come le «opzioni politiche» possano impedire le devastazioni di ieri non è facile da immaginare, ma prevale la sensazione che gli scontri siano stati programmati contro gli «indignati ufficiali» prima ancora che contro gli uomini in divisa. Perché chi vuole rompere l’ipotesi spagnola e imporre quella greca non ha che da spezzare il corteo e offrire immagini che sovrastino fino a far scomparire le ragioni della protesta che voleva essere non-violenta. Gli accordi presi dai responsabili del corteo con le forze dell’ordine e tra gli stessi manifestanti sono stati disattesi, ed è molto probabile che la giornata di ieri abbia delle conseguenze all’interno del movimento antagonista.

I prossimi appuntamenti di piazza saranno inevitabilmente segnati dal 15 ottobre. Sia per chi non vuole vedere la propria protesta oscurata dalle auto in fiamme, sia per le forze di polizia che dovranno almeno provare a rivedere regole e criteri con le quali intervenire (o non intervenire) per frenare gli assalti. Perché se la violenza ha come obiettivo l’indignazione pacifica, le cariche per reprimerla rischiano di fare il gioco di chi l’organizza. Ma studiare alternative, davanti a una realtà  così complessa e frastagliata, non sarà  semplice.

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