L’alleanza e i dubbi di Casini Ma Vendola ora è decisivo

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ROMA — Certo, il Pd sperava di festeggiare il suo quarto compleanno in maniera migliore, e non con un tentativo, miseramente fallito, di sconfiggere Silvio Berlusconi sull’orlo del numero legale. Ma dire di «no» a Pier Ferdinando Casini non era nel novero delle cose possibili.

Il leader dell’Udc, convinto che questa era la volta buona, ha spinto l’acceleratore e il Partito democratico gli è andato appresso. Con qualche titubanza: «Se non abbiamo la sicurezza che i radicali non votano, non è un rischio?», chiedeva Paolo Gentiloni al capogruppo Dario Franceschini, già  la sera prima. E la mattina dopo Pier Luigi Bersani: «Vedrete che quelli del Pr entreranno in aula». Il Pd, però, non poteva fare altrimenti, in nome di una futuribile e possibile alleanza con i centristi. Perciò ha seguito l’Udc in quello che un autorevole dirigente di Largo del Nazareno ha battezzato «il 14 dicembre di Casini», ricordando la sconfitta subita da Gianfranco Fini in un altro voto di fiducia ad altissima tensione.

Archiviato il fallimento, ora il Pd pensa al dopo, preparando l’offensiva nei confronti dei centristi per spingerli all’intesa in vista delle elezioni. Massimo D’Alema è convinto, e lo ha detto ai compagni di partito, «che si può riuscire ad agganciare l’Udc con una proposta di governo credibile». Che secondo alcuni dovrebbe passare per l’addio ad Antonio Di Pietro e Nichi Vendola. Ipotesi questa, pressoché impossibile. «Rischieremmo di prendere il 20 per cento», è l’opinione di Bersani. E di perdere pezzi del Pd: «Se andiamo alle elezioni senza Italia dei valori e Sel, io esco dal partito», ha minacciato il senatore Ignazio Marino. D’altra parte, anche secondo i sondaggi dei centristi, senza il movimento di Nichi Vendola non si va da nessuna parte.

L’idea del Partito democratico, quindi, è sempre la solita: mettere tutti insieme, appassionatamente. «Ma non sarà  l’Unione — promette il segretario dei «Democrats» — del resto, in questi giorni la costruzione dell’alternativa si è rafforzata grazie al comune lavoro parlamentare». Sempre avendo in mente lo stesso obiettivo, Bersani respinge il pressing di Vendola e Di Pietro che vogliono tenere le primarie a gennaio: «Prima il programma, poi la coalizione, infine le primarie». Indire prima queste consultazioni significherebbe tagliare subito i ponti con l’Udc. A sentire Casini, però, le cose non sono così semplici come spera D’Alema, che pure con l’ex presidente della Camera ha un filo diretto, mai reciso, neanche nei momenti di maggior freddezza tra terzo polo e Pd. Il leader dell’Udc, che ieri sfoggiava un gessato «da gangster» (la definizione scherzosa è sua) che però «piace tanto al figlio di tre anni», non aveva la faccia dei giorni migliori, sebbene facesse di tutto per non darlo a vedere, e continuava a tenersi sulle sue: «Meglio soli…». Non vuole aprire nessuno spiraglio adesso, Casini, preferisce rinviare ogni decisione più in là  nel tempo, quando avrà  capito quale potrebbe essere l’esito di questa partita politica con troppi allenatori e aspiranti bomber.

Ma il leader dell’Udc potrebbe essere costretto a cambiare idea. Se passasse il referendum elettorale, infatti, i margini di manovra dei centristi rischierebbero di diventare inesistenti. Con il Mattarellum il terzo polo correrebbe il pericolo di diventare ininfluente: si pensi solo al fatto che il Ppi, nel 94, prese solo 33 deputati, con tutto che aveva una consistenza elettorale ben più pesante di quella del trio Udc-Fli-Api. Puntano anche a questo, nel Pd, per costringere Casini all’alleanza.

Insomma, il leader centrista sembrerebbe avere le spalle al muro. Ma non è detto. Innanzitutto, il via libera della Corte costituzionale ai referendum elettorali non è scontato. E comunque Casini accarezza un altro sogno. Cioè quello di un terzo polo non formato «mignon», come l’attuale, bensì ampio, con dentro Luca Cordero di Montezemolo e il suo movimento, gli scajoliani del Pdl e… E non è finita qui. Già , manca un pezzo. E quel pezzo è rappresentato dai cattolici del Partito democratico. O, meglio, da quei cattolici che dentro il Pd sono guidati da Beppe Fioroni. Il quale sta cercando in tutti i modi di frenare un’eventuale emorragia di ex popolari e per questa ragione continua a incitare il Pd «a darsi una mossa e a imboccare decisamente la via della moderazione». Altrimenti neanche lui riuscirà  più ad arginare il malcontento dei cattolici del Partito democratico. Un terzo polo di queste dimensioni, e di queste fattezze, potrebbe aspirare a prendere tra il 15 e il 20 per cento e puntare a giocare la partita in proprio.


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