Le loro pensioni: Versi uno, incassi 5. Le magie dei vitalizi

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ROMA — Facile, per il sindaco di Firenze Matteo Renzi invocare l’abolizione dei vitalizi parlamentari. Facile, per uno che ha 36 anni e l’ambizione di rottamare un’intera classe politica. Mettetevi invece nei panni di un signore di cinquant’anni entrato in parlamento senza speranza di essere rieletto. L’Istituto Bruno Leoni ha fatto i conti: cominciando a riscuotere il vitalizio a 65 anni, se vivesse fino a 78 porterebbe a casa 3.108 euro lordi al mese per 13 anni. Intascando così il 533% di quanto versato in un quinquennio al ritmo di 1.006 euro al mese, contro il 102% di un lavoratore dipendente medio pensionato con 35 anni di anzianità .
Ci si può dunque stupire che il 2 agosto scorso, quando sull’onda dell’indignazione popolare la Camera ha votato un ordine del giorno per passare al sistema contributivo, molti abbiano schiacciato il pulsante verde con la morte nel cuore?
Ma se «i vitalizi sono figli della Costituzione», come ha ricordato Pierluigi Castagnetti con voce vibrante dall’emozione, è pur vero che ci costano ogni dodici mesi, fra Camera e Senato, quasi 200 milioni. Duecento milioni, a fronte di nemmeno 18 di contributi, con un rapporto di oltre undici a uno. Per capirci: con quei soldi il Congreso de los diputados, ossia la Camera spagnola, tira avanti due anni. Mentre i nostri onorevoli pensionati incassano un assegno «medio» di 5.575 euro mensili, quasi sette volte la pensione «media» pagata dall’Inps.
Vero è che oggi il limite per incassare il vitalizio è stato portato a 65 anni e che bisogna aver completato almeno un mandato, mentre in precedenza era sufficiente aver passato in Parlamento un solo giorno per poter riscattare volontariamente, pagando una miseria, il diritto all’assegno. Come è vero che la Camera ha affermato il principio che prima o poi si dovrà  passare al contributivo. Già , prima o poi…
Aggiungiamo che ogni riforma ha sempre accuratamente evitato di sfiorare i diritti acquisiti. Il giro di vite del 1997, per esempio, stabilì che non si poteva intascare il vitalizio prima dei sessant’anni d’età . Ma questo valeva soltanto per i neoeletti a partire dal 2001. Per la maggioranza, tutto come prima. È accaduto così che nel 2006 Giuseppe Gambale sia andato in pensione a 42 anni con 8.455 euro lordi al mese e che nel 2008 Antonio Martusciello e Alfonso Pecoraro Scanio abbiano maturato il diritto a riscuotere il vitalizio, rispettivamente a 46 e 49 anni. Ma non sono nemmeno gli ultimi. Se avesse riscattato tutti gli anni delle sue tre legislature (due delle quali finite anticipatamente), l’ex presidente della Camera Irene Pivetti potrebbe andare in pensione nel 2013, a 50 anni. E fra 19 mesi, nell’ipotesi di arrivare alla scadenza naturale dell’attuale mandato senza essere rieletti, toccherebbe pure a Lucio Malan (all’età  di 52 anni), Daniele Molgora (51), Giovanna Melandri (51), Alessandra Mussolini (50), Luca Volontè (47), Alberto Giorgetti (45), Italo Bocchino (45)…
Senza contare che i vitalizi hanno una proprietà  unica: quella di sommarsi a qualunque altro reddito. Fosse anche una pensione. O un secondo vitalizio. Come quello che spetta a chi ha avuto, anche per un solo mandato, un seggio in un Consiglio regionale. Con rarissime eccezioni: la Regione Emilia-Romagna ha abolito i vitalizi dalle prossime elezioni e la Calabria è alle prese con il problema.
Ai 3.356 ex onorevoli e loro superstiti beneficiari di assegno parlamentare si sommano quindi almeno altrettanti beneficiari di assegno regionale. Assegni tutti diversi: ogni Regione lo calcola a modo suo. Un autentico delirio. Ma che in alcuni casi, per esempio nel Lazio, consente ancora oggi di andare in pensione, ormai celebre il caso dell’ex governatore Piero Marrazzo, fin dai 50 anni d’età . E non parliamo di cifre trascurabili. Sempre nel Lazio, per esempio, il vitalizio dei consiglieri viene commisurato alla somma di indennità  più la diaria, con il risultato che l’assegno può anche superare 9 mila euro lordi al mese. Invece in Campania la base di calcolo comprende perfino i rimborsi spese (i rimborsi spese!).
Il colmo, però, è questo: in Italia ci sono circa 200 persone che incassano ogni mese due vitalizi, come se avessero vissuto due volte. E tutto perché sono stati sia parlamentari sia consiglieri regionali. Qualche nome? Gli ex parlamentari ed ex consiglieri lombardi Piero Bassetti, Mario Capanna, Luigi Baruffi, Alessandro Fontana, Giorgio Gangi, Carlo Smuraglia ed Elio Veltri. Poi Giulio Maceratini, già  deputato ed ex consigliere laziale. E gli ex presidenti della Regione Lazio Giulio Santarelli, Sebastiano Montali e Bruno Landi assieme agli ex sindaci di Latina Aimone Finestra e Vincenzo Zaccheo. E come dimenticare Francesco Storace, che nel marzo del 2009, quando era soltanto consigliere comunale di Roma ed aveva appena compiuto 50 anni, dichiarava di percepire contemporaneamente tanto il vitalizio da ex senatore quanto quello da ex consigliere regionale? All’epoca non aveva ancora partorito la sua ultima proposta: «Chi si ricandida perda definitivamente il diritto al vitalizio», ha detto il 6 luglio 2011.
Un anno prima Storace si era ricandidato alla Regione, dov’è stato rieletto. In base alla legge si è visto sospendere i due assegni. Un principio generale, anche se non vale per tutti. La prova? In Campania c’è una leggina approvata «d’urgenza» pochi giorni prima delle amministrative del 2005 che permette ai suoi ex consiglieri eletti in parlamento di conservare anche il vitalizio regionale. Oggi sono una decina: fra di loro Domenico Zinzi, onorevole, pensionato della Regione e presidente della Provincia di Caserta. Una faccenda spinosa da risolvere, considerato che bisogna cambiare la legge. Anche se in realtà  sarebbe facilissimo: basterebbe fare come Giacomo Bungaro, vicepresidente del Consiglio regionale delle Marche, esponente del Popolo della libertà . Che ieri ci ha scritto: «Ho comunicato all’amministrazione l’atto di rinuncia al vitalizio, che in base alla legge regionale risulta essere facoltativo». Chapeau.


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