«La nuova Libia sarà  ispirata alla legge islamica»

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BENGASI — Dalla quarantennale dittatura del «faraone» Gheddafi a una indefinita democrazia islamica fondata sulla Sharia che legalizza la poligamia? Nonostante l’euforia dei festeggiamenti per la vittoria, il dubbio è legittimo. È lo stesso Mustafa Abdel Jalil a istillarlo nella sua dichiarazione per la liberazione nazionale formulata ieri pomeriggio davanti a decine di migliaia di persone (c’è chi parla di oltre 200.000) nella stessa città  dove a metà  febbraio iniziarono i moti destinati a infiammare l’intero Paese.
Il presidente del Consiglio Nazionale Transitorio (Cnt) è rispettato dalla sue gente. Nonostante sia stato per anni ministro della Giustizia per Gheddafi, con i suoi modi moderati, l’aspetto innocuo, e soprattutto la religiosità  profonda che deriva dai suoi luoghi natali sulle montagne verdi della Cirenaica, è riuscito a presentarsi come traghettatore verso il nuovo corso, annunciando comunque sin da subito che darà  «prestissimo» le dimissioni per lasciare posto ai giovani. E ieri non si è smentito. Consapevole che uno dei problemi maggiori al momento è l’anarchia delle milizie rivoluzionarie, accompagnato dall’esigenza di controllare le armi rubate dagli arsenali del regime, dal podio ha subito lanciato un appello in nome di Allah. «Per festeggiare la liberazione non sparate in aria, ma pregate e recitate con me che Allah è il più grande e misericordioso», ha dichiarato, inginocchiandosi per una breve preghiera. Effetto garantito. Unanimità  assicurata, tra lo sventolare di bandiere, delle foto dei «martiri» uccisi in 8 mesi di combattimenti, gli slogan ritmati della lotta, gli inni rivoluzionari misti a quelli nazionalisti mutuati dal ricco bagaglio della vecchia Jamariah.
Ma Jalil è andato oltre. Dopo aver chiesto in toni paterni tolleranza, riconciliazione e dialogo, ha comunque ribadito che la prossima costituzione avrà  la «legge islamica» come fonte d’ispirazione principale. E ha specificato: «Le leggi che contraddicono la Sharia saranno modificate», incluse quelle sulla poligamia (sotto Gheddafi lasciata ai costumi locali delle tribù, ma non favorita dallo Stato) e le regole bancarie. Gli istituti di credito non potranno imporre interessi sui prestiti inferiori a 5.000 euro e sui mutui per la casa. Quanto alla poligamia, lui specifica che si rifà  alle indicazioni di Maometto. Tra la folla ricordano che lui più volte in passato avrebbe sostenuto che il largo numero di giovani combattenti morti dovrebbe indurre i libici ad avere più mogli per ripopolare il Paese con tanti figli.
L’atmosfera di festa pervade Bengasi. Il luogo della cerimonia è simbolico: la grande piazza delle cerimonie di fronte al campo militare della «Qatiba Fadil», dove il 19 febbraio morirono 200 manifestanti, massacrati dalle milizie del dittatore a colpi di mitra e cannoni. Pietre e bastoni, al meglio un poco di gelatina esplosiva utilizzata dai pescatori, contro un esercito. «Fu la repressione eccessiva a scatenare la nostra rabbia», ha ricordato Jalil tra gli applausi. Qualcuno sventola bandiere francesi, americane, inglesi, italiane. I «grazie Nato» non mancano. Eppure questa è la festa dei libici per i libici. Quasi nessuno si interessa delle polemiche che crescono in Occidente sulle modalità  della morte di Gheddafi. «Il dittatore è morto. Ben gli sta. Magari sarebbe stato meglio processarlo. Ma tutto sommato conta poco. E’ morto soffrendo molto meno delle migliaia di vittime torturate dai suoi aguzzini», affermano in tanti. E anche la sorte di Saif Al Islam, il figlio del rais ancora in clandestinità , sembra dimenticata. Ieri è stato diffuso un audio in cui Saif rilancia la lotta contro «i topi della Nato e i loro alleati» a smentire le voci della sua cattura. «Da solo non può fare nulla. Prima o poi lo prenderemo», dicono in piazza. Nei prossimi giorni l’attenzione si concentrerà  sul processo politico. Dovrà  essere costituito l’organismo per organizzare le elezioni entro 8 mesi. Sarà  battaglia. Ma non va dimenticato che questo è un Paese ricco, con impianti petroliferi relativamente intatti e meno di sei milioni di abitanti. Mancano le divisioni religiose che attanagliano l’Iraq o il Libano. L’ottimismo di Jalil potrebbe avere qualche fondamento.


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