Lodo Mondadori, Fininvest contro i giudici

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MILANO – «Sconcertanti omissioni». Oppure, ancora, il superamento di «un limite giuridico altrimenti insuperabile». A poco più di due mesi dalla sentenza di secondo grado con la quale la Fininvest è stata condannata a risarcire 564 milioni di euro alla Cir di Carlo De Benedetti (azionista di riferimento del Gruppo Espresso), il presidente della società  di via Paleocapa, Marina Berlusconi, si appella al ministro della Giustizia e al procuratore generale della Cassazione. Un esposto, presentato ieri mattina, per contestare il verdetto con cui, lo scorso 9 luglio, la Corte civile d’Appello di Milano ha dato torto al Biscione nella querelle sul lodo Mondadori. La denuncia, una ventina di pagine in tutto, porta la firma della figlia del Cavaliere ed evidenzia le anomalie con le quali sarebbe stata motivata la sentenza. «Il risultato è che si fa dire alla Cassazione l’esatto contrario di quanto invece la Cassazione stessa chiaramente afferma nella sua sentenza». Un «esposto infondato – replica la Cir – per tentare di recuperare pretestuosamente una situazione processuale fortemente compromessa».
Il braccio di ferro per ottenere il controllo del colosso di Segrate si trascina dalla fine degli anni 80. Nel ’91, la Corte d’Appello di Roma (giudice estensore Vittorio Metta), riconosce le ragioni Fininvest. La Mondadori viene divisa tra i due imprenditori. Cinque anni dopo, però, con le indagini dei pm di Milano, si scopre che Metta era a libro paga dell’avvocato della Fininvest, Cesare Previti. Quando i due vengono condannati per corruzione giudiziaria, si apre il capitolo civile. Cir, in primo grado, si vede riconosciuto un danno dal giudice Raimondo Mesiano: 750 milioni di euro. In appello, il 9 luglio, la cifra scende a 564 milioni, ma è immediatamente esecutiva. Il 26 luglio, la Fininvest versa il denaro su un conto della Cir.
Ieri, la mossa a sorpresa della Fininvest, poco prima che scadano i termini per presentare il ricorso in Cassazione. L’esposto è indirizzato a quegli organi che sono titolari dell’azione disciplinare sui magistrati. Proprio il Guardasigilli o il procuratore generale della Cassazione, infatti, hanno la facoltà  di avviare un procedimento sui giudici. Per la denuncia, il collegio di Milano ha attribuito alla sentenza della Cassazione con cui sono stati condannati Metta e Previti «una tesi mai espressa», anche grazie all’utilizzo parziale di quelle motivazioni, di «un precedente giurisprudenziale che non esiste». Questa interpretazione, dunque, avrebbe reso possibile «la liquidazione di centinaia e centinaia di milioni di euro di danni della Fininvest».
Cir, attraverso i suoi legali, Vincenzo Roppo ed Elisabetta Rubini, controbatte: «L’esposto ha un oggetto del tutto inconsistente, quando ritiene di segnalare come anomalo e riprovevole un fatto che invece è assolutamente abituale nella prassi», cioè «lo stralcio di passi ritenuti non pertinenti». Roppo e Rubini ricordano anche come «anziché affidare al giudizio della Cassazione quelle che ritiene le proprie buoni ragioni, Fininvest lancia un improprio atto d’accusa contro i giudici che hanno preso la decisione sgradita, e forse un implicito monito ai giudici dai quale teme, in futuro, altra decisione sgradita», con il risultato che «l’esposto rischia di apparire intimidatorio».
Dal canto loro, i magistrati che hanno emesso la sentenza, non commentano. In tribunale, fonti che vogliono restare anonime, hanno comunque voluto precisare come la sentenza della Cassazione, che a dire di Fininvest è «tagliata», il che rappresenterebbe la «sconcertante omissione», è penale. E che nel provvedimento della Corte d’Appello è stata citata in un contesto ben diverso da quello strettamente civilistico indicato dal Biscione. E sarebbe stata riportata per motivare tutt’altro passaggio della decisione d’appello: laddove si spiega il nesso di causalità  tra la corruzione del giudice Metta e i riflessi sulla sentenza collegiale del 1991.


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