Ma lo scempio di un cadavere non può mai essere giustizia

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Un oltraggio accompagnato dall’urlo furente della folla che non ha assistito alla tragedia dell’esecuzione di un tiranno, ma allo sfregio di un simbolo da schernire e annientare.
In queste circostanze così drammatiche della storia è difficile indicare la via più giusta. E non è mai pacifica o morbida la condotta collettiva che segue alla cattura di un dittatore odiato e temuto. Non lo è stata lo spettacolo del Saddam prima esposto come un animale nello zoo e poi giustiziato al termine di un processo farsa. O l’orribile messinscena dell’assassinio dei coniugi Ceausescu, decretato da finti giudici titolari di un finto tribunale. O quella, appena meno apocalittica, del rito di umiliazione che ha condotto al ludibrio di Mubarak, trascinato malato e in barella nell’aula di un’udienza prefabbricata. E la soluzione non è nemmeno la consegna a un Tribunale internazionale troppo prigioniero della sua ipocrisia, feroce e ritorsivo con i dittatori battuti come Milosevic, impotente e balbettante con quelli ancora saldamente in sella, ancora intenti a massacrare indisturbati nel recinto domestico delle loro tirannie.
È difficile indicare la via giusta. Ma non c’è memoria delle torture che gli aguzzini di Gheddafi hanno inflitto al popolo libico che possa giustificare la rappresentazione brutale che ieri ha macchiato l’atteso epilogo di un dispotismo crudele e disumano, nemmeno attenuato dalle pose pagliaccesche che l’ex padrone della Libia amava ostentare come segno del suo smisurato e capriccioso potere.
La giustizia sommaria non è mai la via giusta. La brutalità  primordiale non è mai la via giusta. Noi italiani, in special modo, sappiamo che la celebrazione dell’eterna Piazzale Loreto per i dittatori in disgrazia non è mai la via giusta. Soddisfa il gusto della vendetta, ma non quello della giustizia. Lava con il sangue del dittatore l’onta delle sofferenze patite, ma non è l’augurio di un nuovo inizio, di una pagina nuova della storia che sappia chiudere con gli orrori del passato e impedisca a una nazione liberata di avvitarsi nella spirale delle rappresaglie, nel bagno di sangue purificatore, prologo di nuovi orrori e ingiustizie.
Ecco perché le scene del corpo straziato di Gheddafi, scandite dalla comprensibile ma scatenata furia di chi lo ha catturato, non possono rallegrare chi ha condiviso l’intervento militare della Nato per aiutare i ribelli libici nella loro guerra al dittatore. Forse era inevitabile che finisse così. Ma forse è giusto ostinarsi a pensare, e a sperare, che il crepuscolo delle dittature non debba conoscere la carneficina come suo esito obbligato.


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