Misure varate ma non approvate “operazione facciata” del premier per rassicurare Europa e G20

by Sergio Segio | 31 Ottobre 2011 7:35

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ROMA – È già  una road map d’emergenza. Il premier Berlusconi che sull’economia, e sulla tenuta dei mercati, nelle prossime ore si gioca la sopravvivenza, la detta senza consultazioni e senza alcun coinvolgimento del ministro Tremonti, che considera (e preferisce tenere) fuori dai giochi. «Dobbiamo lanciare un segnale rassicurante a Bruxelles e a Francoforte subito, questa settimana, voglio partire per il G20 con il varo dei primi provvedimenti promessi» ha scandito al segretario e ai capigruppo Pdl.
Il «varo», questa la parola chiave, non approvazione in Parlamento. Perché per la trasformazione in legge il cammino è tutto in salita e colmo di insidie. Dismissioni e un piano di investimenti per il Sud, in cima all’agenda. Ma la via di fuga individuata è uno o più decreti da portare in Consiglio dei ministri. E «venderli» come misure già  adottate ai vertici Ue. Non sarà  facile, visto che Bruxelles ha già  chiesto uno scadenzario con tempi parlamentari certi per l’approvazione delle varie misure. Palazzo Chigi ha allertato informalmente i ministri per giovedì mattina, poche ore prima che il Cavaliere parta alla volta di Cannes, destinazione G20. In quella sede, i leader europei cercheranno di convincere i paesi emergenti a partecipare al salvataggio della zona euro. Ma perché questo avvenga è necessario che il programma sia credibile e che le economie più a rischio dimostrino di essere in grado di mantenere gli impegni. Grecia e Italia in testa.
Silvio Berlusconi è rientrato ieri mattina ad Arcore dalla Sardegna, dove si è trattenuto solo mezza giornata. Domenica in famiglia per festeggiare i quattro anni del nipote Alessandro, figlio di Barbara. Nel pomeriggio le poche telefonate di lavoro hanno preparato il tour de force della settimana. Che si aprirà  con i riflettori puntati su Piazza Affari e sulla tenuta dei titoli, l’allarme per un nuovo assalto speculativo resta altissimo. Per mercoledì è stato convocato l’Ufficio di presidenza Pdl per la stesura di una prima bozza delle misure che l’indomani il Consiglio dei ministri farà  proprie. La fiducia per ora è solo un’ipotesi, anche per non scatenare subito la reazione delle opposizioni. Quel che è certo che si tratterà  di più provvedimenti, sotto forma di disegni di legge e di decreti che dall’8 novembre il Cavaliere illustrerà  alle Camere. Lo scadenzario imposto da Barroso e Van Rompuy è perentorio. Liberalizzazioni «entro due mesi» e dismissioni a stretto giro.
A Palazzo Chigi la «cabina di regia» è al lavoro sul piano di investimenti per il Mezzogiorno e, appunto, sulle dismissioni. La vendita degli immobili ai privati riguarderà  per lo più gli uffici occupati dalla pubblica amministrazione. Interi edifici e appartamenti che lo Stato dovrebbe vendere a società  o privati con l’obiettivo di mantenervi gli uffici, versando ai nuovi proprietari canoni d’affitto. Un piano al quale sta lavorando il ministero dell’Economia e che, nelle stime, dovrebbe portare in cassa 5 miliardi l’anno per tre anni. Il primo scoglio vero saranno invece le resistenze dei 44 avvocati, 13 medici e del notaio che affollano le file del Pdl in Parlamento e che sono tornati sul piede di guerra contro la liberalizzazione delle professioni. Che rientra nella primissima tranche di scadenze imposta dall’Unione europea all’Italia. Nelle conclusioni del documento con cui è stato chiuso il Consiglio europeo di mercoledì, l’indicazione è chiara: «Abolizione delle tariffe minime nei servizi professionali». A dispetto della lettera italiana che si fermava a generiche «altre misure per rafforzare l’apertura degli ordini professionali». Sarà  battaglia. Quando con la prima manovra di luglio il governo ha provato a mettere mano alla materia, 22 senatori-professionisti pidiellini hanno scritto una lettera: «Non lo votiamo», coperti e difesi dal ministro-avvocato Ignazio La Russa: «Non mi sembra materia da inserire in un decreto». Nel giro di cinque ore, l’emendamento è stato ritirato. Ora il governo dovrà  riprovarci. Nonostante i numeri che vacillano a Montecitorio e quelli che si assottigliano al Senato, dove si fanno ancor più critiche le posizioni di alcuni pidiellini, da Pisanu a Saro, dove il sindaco Stancanelli si è dovuto dimettere lasciando il posto al finiano Nino Strano e dove sono incerte le mosse di Carlo Vizzini. «Il centrodestra resta coeso e adesso si cominciano a realizzare gli impegni presi – dice sicuro il vicecapogruppo Pdl Massimo Corsaro – Vedremo piuttosto che atteggiamento responsabile terranno le opposizioni». L’eventuale fiducia all’orizzonte non aiuterà  il dialogo.

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