Moneta e Libero Scambio la Cina Tratta sull’Euro

by Sergio Segio | 31 Ottobre 2011 7:34

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Per ottenere questo risultato è indispensabile pianificare ogni mossa, ogni dettaglio, ogni decisione. Una visione interiorizzata e, come dimostrerà  millenni più tardi Mao Zedong, molto diversa dai canoni di von Clausewitz: «Quando il nemico attacca — ordinava il futuro Grande timoniere durante la lotta contro Chiang Kai-shek — noi ci ritiriamo. Quando il nemico si ritira, noi lo inseguiamo».
Il G20 di giovedì, a Cannes, non dovrebbe presentarsi come una battaglia campale. Ma i cinesi arriveranno preparati come se lo fosse. Vero che a Pechino sono giunte (esplicite?) richieste di «collaborazione» — la telefonata del presidente francese Nicolas Sarkozy all’omologo Hu Jintao dopo il vertice europeo del 27 ottobre e la visita, a Pechino, un giorno più tardi, di Klaus Regling, capo del Fondo europeo di stabilità  finanziaria. Tuttavia, per ottenere l’aiuto della Repubblica Popolare (Paese che nei suoi forzieri conserva riserve in valuta per tremila e più miliardi di dollari), i leader europei dovranno convincere i loro ospiti orientali del vantaggio strategico di una simile scelta.
Sul piatto, al momento, ci sarebbe un’offerta di 50-100 miliardi di dollari che andrebbero a integrare il Fondo gestito da Regling. Un assaggio, un primo passo, per verificarne l’utilità  (in termini di ritorno politico ed economico). Intendiamoci, i cinesi hanno ben presente quanto l’Europa sia importante per la «fabbrica del mondo»: l’interscambio commerciale, nel 2010, ha raggiunto i 363 miliardi di euro. Se la Cina resterà  a guardare e lascerà  precipitare la crisi, perderà  uno sfogo essenziale per le sue esportazioni. Per non parlare degli investimenti diretti delle aziende occidentali. D’altro canto, la consapevolezza, lo status internazionale raggiunto da Pechino — potenza globale vicina ai momenti di maggior splendore della sua Storia — consiglia a Hu Jintao e compagni di flettere solo un poco i muscoli e ottenere quei vantaggi che ora appaiono alla loro portata. Di che cosa ha bisogno la Cina? Intanto e prima di tutto, i suoi sherpa, nelle decisive ore di preparazione del vertice, potranno avanzare la richiesta di riconoscimento dello status di «economia di mercato» — l’Europa non lo ha mai concesso — e, ancora, potrebbero chiedere concessioni sul ruolo internazionale dello yuan, divisa non convertibile al centro di una tensione latente con gli Usa che insistono nel chiederne l’apprezzamento. I cinesi potrebbero infine pretendere un peso decisionale maggiore all’interno dell’Fmi (è sul piatto da tempo) a detrimento proprio di alcuni Paesi europei.
Queste ipotesi — perché tali sono al momento: nessun dettaglio è trapelato a proposito dei contatti dei giorni scorsi — non sono del tutto condivise. C’è chi (l’Economist) dubita della reale volontà  di effettuare un simile baratto: «Ottenere concessioni politiche in cambio di aiuti in denaro significherebbe che gli investimenti non sono commercialmente attraenti», sottolinea il settimanale britannico.
Allora? Sun Tzu, osservando lo scenario, potrebbe trovare una via d’uscita inaspettata. O meglio, potrebbe notare che, in questo momento, l’Europa ricorda il Titanic con il suo abbrivio che l’avvicina sempre più a un iceberg. Mentre la Cina potrebbe tranquillamente salvare la nave alla deriva, stendendo solo un braccio. E conquistarne il carico. Senza il minimo sforzo.

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