Nei laboratori della vita 100+

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SAN FRANCISCO. “Loro” sono già  tra di noi, simili a noi, destinati a sostituirci per sempre, o quasi. E se noi stessi fossimo loro senza saperlo? Loro non sono gli alieni dell’Invasione degli ultracorpi, il classico film della fantascienza del 1956. Sono i futuri millenari, che abiteranno questo pianeta per un tempo interminabile in confronto alla nostra breve vita. Il gerontologo Aubrey de Grey è convinto che siano davvero in mezzo a noi: «I primi esseri umani destinati a vivere fino alla soglia dei mille anni sono quasi certamente già  nati». Non perché siano diversi dalla nascita: è la scienza che sta facendo tali balzi in avanti da rendere realistico un formidabile prolungamento della longevità  umana. «Mettiamo pure che i mille anni per ora restino un obiettivo irrealistico – dice la futurologa Sonia Arrison del Pacific Research Institute, in California – ma un’età  media di 150 anni è raggiungibile in un futuro vicino. E la maggior parte di quegli anni li vivremo in buona salute, vitali e produttivi».
In parte questa evoluzione è già  in atto sotto i nostri occhi. Quasi sei milioni di americani hanno più di 85 anni, diventeranno una ventina di milioni entro il 2050, passando dall’1,8 per cento al 4,34 per cento della popolazione. In quanto agli ultracentenari, erano appena 2.300 negli Stati Uniti di mezzo secolo fa, oggi ce ne sono già  ottantamila, a metà  del secolo saranno oltre seicentomila. Quindi entro pochi decenni la popolazione oltre i cento anni avrà  le dimensioni della città  di San Francisco. Ma queste sono tendenze estrapolate da quanto sta accadendo da decenni, non tengono conto di nuovi balzi in avanti. Per molti esperti il vero strappo deve ancora avvenire, grazie alle ricerche sul “gene della longevità “. Un esempio lo fornisce il lavoro della scienziata biogenetica Cynthia Kenyon presso il policlinico della University of California a San Francisco. La Kenyon ha scoperto che basta disattivare un singolo gene, chiamato daf-2, per raddoppiare la durata di vita di un verme, il Caenorhabditis Elegans. Alterando un altro gene, daf-16, la longevità  del verme diventa sei volte superiore alla media. «Tradotto nella speranza di vita umana questo equivarrebbe a farci arrivare all’età  di 500 anni», commenta Sonia Arrison. Lei ha fatto il punto sulle tante ricerche convergenti verso l’aumento della speranza di vita, nel suo saggio intitolato sinteticamente 100 Plus (appena uscito da Basic Books). In Spagna il Centro di ricerca nazionale anti-cancro usando metodi diversi è riuscito a prolungare del 45 per cento la vita dei topi in laboratorio. La Arrison precisa che nessuno di questi risultati si può trasferire automaticamente sugli esseri umani. Però la direzione delle ricerche è promettente. Altrettanto lo è la rapidità  con cui si raggiungono nuovi traguardi.
Sorge un’obiezione immediata, a cui è importante dare risposta: siamo sicuri di voler sopravvivere così a lungo, se una vecchiaia interminabile dovesse trasformarsi in un calvario di malattie? La quantità  della vita ci attrae, se è disgiunta dalla qualità ? Non si può trascurare il fatto che l’aumento della popolazione di ultra-85enni coincide in tutto l’Occidente con un parallelo incremento percentuale dei malati di Alzheimer. La voglia di vivere sempre più a lungo può diventare una forma di hubris, castigata con altre sofferenze? La nostra cultura è piena di ammonimenti in senso contrario. Dal mito di Faust rielaborato da Marlowe, Goethe e Thomas Mann, fino al Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, il desiderio di una longevità  innaturale, o di una vecchiaia giovanilistica e godereccia, viene considerato come un delirio di onnipotenza, un patto col diavolo, di cui prima o poi si pagano dei prezzi terribili.
Anche qui secondo la Arrison la scienza sta elaborando risposte rassicuranti. Non si tratta solo di vivere di più, ma anche meglio. A questo fine uno dei percorsi di ricerca più interessanti punta alla riparazione o sostituzione di interi componenti del corpo umano, via via che si logorano o si guastano. Il fatto che dei singoli pezzi raggiungano la loro data di scadenza, in sostanza, non deve più significare che la vita dell’essere umano ha lo stesso limite. Uno dei laboratori di avanguardia in questo campo è il Wake Forest Institute for Regenerative Medicine, a Winston-Salem nella North Carolina. Sotto la guida del professor Anthony Atala, questo istituto ha cominciato a creare delle vesciche artificiali, per sostituire l’organo in bambini che avevano un difetto congenito alla nascita. La struttura di base della vescica artificiale è costruita con materiale organico, su cui si innestano cellule staminali del paziente per impedire il rigetto. Partendo da quell’esperimento riuscito, oggi lo stesso Istituto lavora alla produzione di trenta diverse tipologie di organi e tessuti inclusi il fegato, il cuore e le ossa. È interessante sottolineare che la Wake Forest School of Medicine fa capo alla chiesa protestante battista, a riprova che le convinzioni religiose non sono necessariamente un ostacolo a sperimentare il prolungamento della longevità . Dopotutto Matusalemme è un personaggio della Bibbia: sarebbe vissuto fino all’età  di 969 anni, morì sette giorni prima del Diluvio universale.
Visto che la causa di mortalità  prevalente nei paesi ricchi restano le malattie di tipo cardiorespiratorio e vascolare, uno dei campi di ricerca cruciali è la fabbricazione in laboratorio del cuore umano. Il policlinico della University of Minnesota già  nel 2008 riuscì a costruire il primo cuore di topo. Oggi sta lavorando sulla produzione di cuori di maiale, un animale più simile all’uomo per le dimensioni e i cui tessuti cardiaci sono già  ampiamente usati come componenti per trapianti umani. Un altro istituto di medicina rigenerativa, quello dell’università  di Pittsburgh, in Pennsylvania, lavora sulle matrici extracellulari per fare ricrescere tessuti amputati o lesi: per esempio falangi di dita tagliate. L’idea è quella trasformare il corpo umano in una sorta di cantiere permanente, con lavori di ristrutturazione e restauro prolungabili per molti decenni o addirittura secoli. Resta da capire se questo salverà  anche i nostri tessuti cerebrali, e come. Oltre i cento va benissimo, purché non ci si arrivi sotto forma di androidi senza memoria, o con una storia trapiantata come i replicanti di Blade Runner.


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