Nella missiva tutte le «cose fatte» «Il nostro sistema è sostenibile»

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Speranza riposta su un solo impegno preciso: il rispetto dell’obiettivo dell’anticipo del pareggio di bilancio al 2013 deciso con le manovre della scorsa estate, costi quel che costi, se necessario anche con misure aggiuntive.
Sulla previdenza si afferma l’obiettivo dell’età  pensionabile a 67 anni nel 2026, senza spiegare come. In pratica, il governo si sarebbe orientato ad anticipare, dal 2014 al 2012, il percorso di aumento graduale da 60 a 65 anni dell’età  pensionabile delle donne del settore privato. L’accordo con la Lega, ha detto ieri sera il ministro dell’Istruzione Mariastella Gelmini a Ballarò, prevede «67 anni per donne e uomini del settore pubblico e di quello privato, gradualmente aumentando l’età  pensionabile dal 2012 al 2025». In pratica da quell’anno tutti, anche per effetto della «finestra mobile» e dell’adeguamento alla speranza di vita, andranno in pensione di vecchiaia non prima di aver compiuto 67 anni.
La lunghezza della missiva alla Commissione europea serve per ricordare tutti i provvedimenti già  adottati dall’esecutivo con i decreti di luglio e agosto, che comportano una correzione dei conti pubblici del valore cumulato di 145 miliardi di euro nel quadriennio 2011-2014. Anche sul nodo delle pensioni, dove pure lo stesso Berlusconi si era esposto direttamente qualche giorno fa annunciando nuovi provvedimenti, si ricordano tutte le riforme fatte negli ultimi anni, che hanno ricevuto giudizi positivi dallo stesso esecutivo di Bruxelles e dall’Ocse, e si ritiene che questi provvedimenti garantiscano la sostenibilità  finanziaria del sistema. Un’orgogliosa rivendicazione delle riforme fatte e che diversi Paesi a cominciare la stessa Francia, che come noi conservano le pensioni di anzianità , non sono riusciti a fare.
Nella lettera Berlusconi illustra anche i capitoli sui quali il governo interverrà  con il decreto sviluppo, anticipando novità  importanti rispetto alle bozze circolate nei giorni scorsi. Ci sarebbe una nuova stretta sul pubblico impiego, con l’obiettivo di ridurre il numero dei dipendenti pubblici, ricorrendo, se necessario, anche alla messa in mobilità . Per il settore privato si accennerebbe invece a una revisione delle norme sui licenziamenti per motivi economici, con l’obiettivo di stabilire in questi casi un indennizzo del lavoratore, senza diritto al reintegro. Ci sono poi le liberalizzazioni dei servizi pubblici locali e la riforma delle professioni, con l’abolizione delle tariffe minime. Tutte richieste, per inciso, sollecitate dalla Bce nella lettera di inizio agosto, e che finora erano rimaste inesaudite.
Grande importanza viene data anche al rilancio delle infrastrutture e alle norme di semplificazione. Per favorire la crescita si punta sull’aumento del tasso di occupazione, in particolare femminile, con i contratti agevolati di inserimento. Per i giovani si conferma la già  annunciata riduzione dei contributi sull’apprendistato e si prevedono misure per frenare l’abuso dei contratti atipici e favorire la stabilizzazione dei rapporti di lavoro. Per il Mezzogiorno e le aree sottoutilizzate ci sarebbe il credito di imposta sulle assunzioni.
Berlusconi sa bene che convincere la Ue e soprattutto i mercati, su queste basi, sarà  molto difficile. Sa che dovrà  affrontare il forte scetticismo delle altre capitali europee sulla capacità  del suo governo di gestire la crisi, ma anche quello dei mercati sull’efficacia del nuovo Fondo Salva Stati. La trattativa su questo fronte, in questi due giorni, non ha fatto grandi progressi sui meccanismi per rafforzare e rendere più flessibile lo strumento. Avanzamenti che sarebbero tanto più urgenti proprio perché quel Fondo, pensato per i piccoli Paesi, domani potrebbe essere lo strumento europeo con il quale, se servisse, intervenire in Italia e in Spagna. E c’è anche il timore che se i mercati domani dovessero reagire male, giudicando il Fondo inadeguato all’impresa, gli altri governi potrebbero anche addossarne a Berlusconi la responsabilità .
Quello che è certo è che oggi, a Bruxelles, all’Italia verranno chiesti sforzi aggiuntivi e impegni molto precisi. Non solo garanzie puntuali sulla tenuta degli obiettivi di deficit. Al punto in cui si è arrivati potrebbe non bastare. Una nuova forte riforma delle pensioni non porterebbe grandi risparmi nell’immediato, ma sarebbe utile per blindare i conti a lungo termine e soprattutto darebbe all’Europa, che lo chiede, un segnale di capacità  politica. Il premier ci puntava, ma al momento non è in grado di offrire molto al riguardo. Così l’attenzione rischia di spostarsi, a partire da domani, sul nodo cruciale, il debito pubblico. Da ridurre, e in modo certo non simbolico, in tempi molto rapidi.


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