Nella sala urlano: “Questo è un Soviet” e al Senatùr vengono le lacrime agli occhi

by Sergio Segio | 10 Ottobre 2011 15:06

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VARESE – Come ai litigiosissimi congressi della Dc, ma a Varese ieri va in scena pure il Grande Inganno. Che avrebbe per vittima lo stesso Bossi. Lo raccontano i nemici di Reguzzoni, il capogruppo alla Camera sponsor del nuovo segretario: il Capo era convinto che dopo il suo endorsement pro Canton, e dopo la resa degli altri due candidati, al congresso «non ci sarebbe stato casino». Invece si è andati ben oltre, e l’Umberto c’è rimasto male.

Parecchio, aveva quasi le lacrime agli occhi, quando ha abbandonato per la prima volta la sala mentre i delegati urlavano come ossessi. E qualcuno giura di averlo sentito addossare la colpa di tutto proprioa Reguzzoni. Chissà . Qualcun altro – per dare l’idea del caos che ormai regna – ora scommette che la prossima vittima sarà  Giancarlo Giorgetti, il segretario lombardo. «Faranno piazza pulita – prevede un dirigente – perché tanto da oggi le regole non valgono più, e infatti non è affatto prevista l’elezione di un segretario neppure per acclamazione, ma semplicemente perché tale viene dichiarato dal presidente del congresso». A proposito di regole, c’è anche chi cita il caso di Renzo il Trota.

Ieri l’avrebbero fatto votare anche se non era delegato, dopo che il padre dal palco aveva ruggito: «Ci sono discriminazioni contro i miei figli, non gli avete dato la tessera». Ma non è più il Bossi di una volta, adesso tra i suoi c’è chi gli si rivolta contro. A microfoni accesi. Alessandro Vegani, già  sindaco di Buguggiate: «Mi sento come d’inverno sugli alberi le foglie». Già , lui il segretario “nominato” ieri da un congresso-bolgia non l’avrebbe proprio scelto. Lo dice dal palco, e ha paura: di essere cacciato, di cadere a terra come una foglia morta. Ma dice più, e fa niente se il segretario federale è lì: «Dopo che hanno fatto fuori i suoi due concorrenti, se io fossi Canton mi sentirei una merda».

Avanti un altro, lo Stefano Gualandis che fa il capogruppo in consiglio provinciale e mette il dito nella piaga: «Bossi ha sempre avuto rispetto per la nostra base, oggi purtroppo ha perso l’autorevolezza e governa con l’autorità ». Poi ci sono Giorgio Sai e Angelo Veronesi, entrambi segretari di sezione, ad aggiungere lamenti: «Nella Lega c’è mancanza di democrazia». In sala correggono: «Sembra di essere in Russia, questo è un Soviet». Eccolo qui il rompete le righe che spinge la Lega alla sua Caporetto. Iscritti, dirigenti, delegati che non ci stanno e ci mettono la faccia.

Divisioni vecchie (cerchisti contro maroniani), ma non solo. Intanto perché Bobo ha ordinato di non far casino, dopo l’ukase del Capo che ha imposto Canton. E poi perché stavolta, come spiega un vecchio leghista varesino «questo schifo che è successo ha compattato tutti, anche quelli che sembravano più tiepidi». Beninteso: non è solo una lotta di potere, o di strapuntino. Sullo sfondo rimangono le differenze tra chi pensa che con Berlusconi si debba andate avanti perinde ac cadaver e chi crede sia venuto il momento di mollarlo. Grosso modo.

Succede anche nel Veneto, ieri pomeriggio a Padova riunione fiume del parlamentino della Liga Veneta. Il tam tam era ossessivo: il segretario Gian Paolo Gobbo vuole commissariare il “provinciale” di Verona, retto da Paolo Paternoster un fedelissimo del maroniano di ferro Flavio Tosi. Non se n’è fatto niente, anche se il tentativo c’è stato: l’eco del disastro di Varese era arrivata, meglio non gettare altra benzina sul fuoco.

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