PD, LO SCONTRO C’È MA NON HA L’ETà€

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E certo sfonda: questo non è un paese per giovani, chi lo dice ha ragione da vendere, dal precario alla Confindustria. Ma non è affatto un conflitto generazionale quello che attraversa il Pd, di cuiRenzi è l’ultimo frontman. Peraltro il sindaco di Firenze ha estimatori non proprio giovanissimi (Veltroni, Fioroni, D’Ubaldo, Castagnetti, per dire), inadatti a rivendicazioni giovanilistiche. Lo scontro vero, in corso en travesti, è fra idee diverse su lavoro, sviluppo, modernità . Fra chi pensa che ilmercato poco o tanto, vada regolato. E chi, come i Renzi di tutte le età , crede che lamissione dei riformisti sia rimuovere gli inciampi che impediscono almercato di crescere libero. E per questo bello. La natura dello scontro si è vista finalmente in chiaro durante queste travagliate settimane di conflitto fra il governo italiano e le istituzioni economiche europee. Il Pd si è spaccato, non a metà , fra quelli che applaudito alla Bce (Enrico Morando, homo economicus dell’ala veltroniana: «Nessuna delle scelte che propongo io contrasta con le raccomandazioni all’Italia del Consiglio Europeo riprese dalla lettera») e quelli che hanno le hanno criticate (Stefano Fassina, responsabile economico Pd: «Le richieste di maggiore flessibilità  nei licenziamenti e di superamento del contratto nazionale sono sbagliate e controproducenti»). E non è da escludere che queste spaccature finiranno per rimbalzare nel dibattito alle camere chiesto dalle stesse opposizioni. Le differenze sono di fondo, «di paradigma », comesi suol dire. La kermesse di Matteo Renzi si è definitivamente schierata dalla parte dei democratici liberisti, come dimostra la presenza fra i rottamatori di Pietro Ichino, «l’uomo che fa le proposte più di sinistra» secondoWalter Veltroni. Ed è infatti stata contestata dai sindacati dei trasporti preoccupati per la svendita ai privati, dai lavoratori del Maggio Fiorentino contrari ai tagli e dai comitati per l’acqua pubblica. Tre giorni fa, in un’illuminante intervista al Sole 24 Ore, il sindaco di Firenze aveva detto: «La sinistra deve innovare. Non può difendere i diritti dei garantiti e lasciar fuori gli esclusi. Chiedere a un lavoratore di lavorare un anno o due di più per avere un asilo nido in più, credo sia equo. E credo che preoccuparsi dei trentenni precari o dei cinquantenni espulsi dal lavoro sia più di sinistra che discutere dell’articolo 18. Rabbrividisco a sentire certe posizioni contro la lettera Bce lanciate da chi non prenderebbe voti nemmeno nel suo condominio». Al di là  della polemica personale, spiega Fassina, «è l’idea chemodernità  è accettare che l’economia si regoli da sola, e una politica autonoma sia solo un problema: chi lo capisce è riformista, chi no è vecchio. L’idea del ‘micro’ senza ‘macro’, che la produttività  dipenda solo dall’impegno e dalla flessibilità  dei lavoratori. L’idea di Marchionne ‘senza se e senza ma’, che mette padri sfigati contro figli ancora più sfigati; l’idea dell’Europa che c’è, quella dei governi conservatori, e non di un’Europa che sappia rivitalizzare la democrazia delle classi medie». Diversi di modelli di sviluppo, di ceti sociali di riferimento, ben al di là  dello sport delle opposte dichiarazioni che impegna ogni giorno i dirigenti democratici. La crisi, i licenziamenti, le condizioni del 99 per cento della popolazione, per dirla con lo slogan degli indignati, stanno lì a dimostrare concretamente che le vecchie «nuove ricette» liberiste non hanno funzionato. Nel Pd questo nodo verrà  al pettine, tanto più nel corso delle prossime primarie, in cui le differenze fra candidati Pd per forza di cose verranno enfatizzate. E Bersani cercherà  di collocarsi al centro, fra la sua sinistra e la sua destra. Ma è al centro di uno spazio troppo grande da coprire per un partito solo.


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