Pechino-Mosca: il no e le sue motivazioni

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 PECHINO. Il linguaggio era stato annacquato dagli europei nel tentativo di favorirne l’approvazione, ma l’assenza nel testo di un’esplicita rinuncia a qualsiasi misura punitiva ha insospettito Cina e Russia, che hanno posto il veto al Palazzo di vetro. Consiglio di sicurezza spaccato (9 sì, 2 no e 4 astenuti), risoluzione Onu respinta e niente condanna del presidente siriano Bashar al Assad per la repressione delle manifestazioni pro-democrazia e dell’insurrezione armata contro il suo regime.

Oltre al veto di Cina e Russia (2 dei 5 membri permanenti che godono di questo diritto), martedì notte a New York si sono registrate le astensioni di Sudafrica, Brasile, India e Libano. Nulla da fare dunque per il documento che circolava da mesi e che Francia, Germania, Gran Bretagna e Portogallo – col benestare dell’amministrazione Obama – avevano più volte smussato.
Susan Rice, l’ambasciatrice statunitense all’Onu, si è detta «oltraggiata» e ha accusato Pechino e Mosca di «preferire vendere armi al regime siriano piuttosto che appoggiarne il popolo».
La risoluzione affondata «condanna fermamente le continue gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani da parte delle autorità  siriane», alle quali chiede di «cessare immediatamente le violazioni dei diritti umani», «l’uso della forza contro i civili» e «assicurare un ritorno alle loro case sicuro e volontario per coloro che sono fuggiti dalle violenze». Secondo i dati delle Nazioni unite, sono almeno 2700 le persone morte nel corso della rivolta iniziata del marzo scorso e che assomiglia sempre più a una guerra civile. Il governo di Damasco denuncia l’uccisione di almeno 700 soldati da parte di quelle che definisce «bande armate».
Il testo bocciato esprime la «determinazione a riesaminare l’applicazione da parte della Siria di questa risoluzione entro 30 giorni», passati i quali il Consiglio avrebbe «considerato le sue opzioni».
Ma la Cina – impegnata a cercare di far rispettare al Consiglio nazionale di transizione libico (Cnt) i contratti sottoscritti con Gheddafi prima di un conflitto che non voleva ma a cui ha di fatto aperto la strada astenendosi sulla risoluzione 1973 approvata nel marzo scorso – questa volta non ha avuto tentennamenti.
«La comunità  internazionale dovrebbe fornire assistenza costruttiva per facilitare il raggiungimento» degli obiettivi del processo politico siriano e «nel frattempo rispettare pienamente la sovranità , l’indipendenza e l’integrità  territoriale della Siria», ha chiarito dopo aver opposto il veto Li Baodong, il rappresentante di Pechino al Consiglio di sicurezza. Secondo Li, il Consiglio deve rispettare «il principio di non interferenza negli affari interni», perché quest’ultimo «è rilevante per la sicurezza e la sopravvivenza dei paesi in via di sviluppo, in particolare per gli Stati di piccole e medie dimensioni», e per «la pace e la stabilità  del mondo».
La Russia – storico alleato del regime di Assad a cui vende armi, munizioni e fornisce addestramento militare – per bocca del suo ambasciatore all’Onu Vitaly Churkin ha parlato di «approcci politici conflittuali» tra il suo paese e gli Stati europei. Per Mosca, che ha in Damasco il suo principale alleato in Medio Oriente, è necessaria una «soluzione politica della crisi». Churkin ha espresso il timore che, qualora fosse stata approvata, la risoluzione occidentale avrebbe potuto dare via libera a un intervento militare come quello della Nato in Libia (ma anche Mosca si astenne sulla «1973»). Da quella guerra, cominciata anche grazie a una risoluzione Onu che dichiarava di voler «proteggere i civili» e che invece è stata utilizzata per cacciare Gheddafi, sembra passato un secolo.


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