PERCHà‰ LA TURCHIA FA SOGNARE IL MONDO ARABO

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È in Turchia che l’opposizione siriana è andata a radunarsi, nei giorni scorsi: le correnti politiche e religiose, i laici e gli islamisti, di destra e di sinistra – erano tutti lì; e non è certo a caso che hanno scelto Istanbul per annunciare la formazione della loro nuova organizzazione comune, il Consiglio nazionale siriano.
La Turchia fa sognare il mondo arabo, e affascina ogni giorno di più i popoli entrati in movimento dopo la rivoluzione tunisina, divenuta per loro un motivo di speranza, o anche un esempio da seguire. E non solo perché il suo tasso di crescita ha largamente superato quello della Cina nell’ultimo semestre, o perché la Turchia, quindicesima economia del mondo, è una delle potenze emergenti più dinamiche, ma anche e soprattutto perché a questo successo economico si accompagna un successo politico.
Governata da quasi un decennio da un partito islamista, l’Akp, che convertendosi alla democrazia è divenuto maggioritario, la Turchia si è stabilizzata nella prosperità . E ha rotto con una lunga storia di colpi di stato militari a ripetizione, coniugando al meglio tradizioni religiose e modernità , Islam e democrazia, islamismo e laicità , tanto che oggi la nuova generazione araba, islamisti in testa, cerca di importare il suo modello.
Ormai in Siria i Fratelli musulmani dicono di aspirare a uno Stato «civile, democratico e moderno» e fanno appello al sostegno degli Stati Uniti. Gli islamisti tunisini si richiamano ufficialmente all’Akp, e interi settori dei movimenti islamisti, in Egitto, in Marocco, in Giordania e in Libia vogliono seguire l’esempio turco.
È una gran buona notizia per l’Africa del Nord, per il Medio Oriente e per la stabilità  internazionale, nel momento in cui la primavera araba ha portato i movimenti islamisti ad essere forze politiche ineludibili. La giovane generazione islamista conferma sempre più la sua rottura col terrorismo, per la semplice ragione che il jihadismo non ha dato nulla ai popoli arabi, i quali oggi se ne discostano; e perché la Turchia è ben più attraente del Pakistan, dell’Iran o dell’Arabia Saudita. L’evoluzione in atto è così profonda che fin dalle prime manifestazioni di piazza Tahrir le correnti laiche e democratiche dei Paesi arabi hanno potuto aprire un dialogo con i giovani islamisti; ed è ciò che anche gli Stati Uniti stanno incominciando a fare. Peraltro, sull’esempio dell’Akp, questa nuova generazione rifiuta l’etichetta di «islamista».
Sotto i nostri occhi, il mondo arabo-musulmano entra in una nuova fase politica: quella di un post- islamismo alla ricerca di se stesso. Ma il modello turco è esportabile, come questi Paesi vorrebbero credere?
La risposta è tutt’altro che ovvia, per tre ragioni. In primo luogo i Paesi arabi non hanno eserciti abbastanza forti e convintamente laici per garantire, come già  i militari turchi, che gli islamisti non giungano al potere prima di aver compiuto la loro evoluzione. In secondo luogo, se è vero che nell’islamismo arabo le correnti moderniste sono una forza in via di espansione, la vecchia guardia fondamentalista, e talora jihadista, non è stata ancora completamente emarginata. La terza ragione, e la più importante, è che il boom economico turco aveva preceduto l’ascesa al potere dell’Akp, il quale ultimo si è limitato ad assestarlo su basi di stabilità  politica. Le crisi economiche e sociali che attendono il mondo arabo sono gravide di radicalizzazioni estremiste, e il consenso democratico sarà  lento e difficile da consolidare.
La scena politica araba si rischiara, soprattutto grazie alla Turchia, ma Istanbul non ha pozioni magiche da offrire; tanto più che la Turchia stessa sta entrando in una zona di turbolenze. Molto popolare, il suo primo ministro Recep Erdogan ha l’ambizione di incarnare un potere presidenziale forte, e di ottenere per via referendaria una modifica della Costituzione in tal senso. Dopo aver rafforzato la democrazia nel Paese, l’Akp minaccia di condurla a una deriva autoritaria. Ma l’aspetto più inquietante è che la Turchia si sente oggi innalzata dall’ebollizione araba a un punto tale da divenire preda di una febbre diplomatica.
Forte del sostegno degli Stati Uniti, che sperano di trovarvi un appoggio per stabilizzare il Medio Oriente, la Turchia ha praticamente rotto i ponti con Israele; sta alzando i toni verso l’Europa sulla questione cipriota, e si sente ormai leader del mondo arabo, tanto da ridestare, persino nelle giovani generazioni, il ricordo della colonizzazione ottomana. Ma con un ritmo del genere rischia di esaurire la propria carica disperdendola su tutti i fronti. E sarebbe un peccato, perché il mondo ha bisogno della Turchia.
Traduzione di Elisabetta Horvat


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