Primo, ridurre l’infezione Hiv Massimo Oldrini

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Partiamo dai dati epidemiologici: in Italia sono almeno 165.000 le persone affette da Hiv secondo l’Istituto superiore di sanità ; altri organismi internazionali stimano 200.000 casi. Le aree metropolitane – Milano, Roma, ma non solo – hanno tassi di prevalenza quasi africani. In Lombardia, emerge che 44.700 lombardi vivono con l’Hiv, cui vanno aggiunti quanti hanno l’Hiv ma non ne sono consapevoli; il numero potrebbe quindi aumentare di 5.000/20.000 unità . Anche in altre regioni i tassi annui d’incidenza sfiorano il 10%. Per l’epatite C (Hcv) i dati sono pochissimi: si stimano un milione di casi ma, senza un sistema di sorveglianza, poco si sa di un’infezione che riguarda non solo i consumatori per via iniettiva, ma anche quanti sniffano.
Le relazioni governative annuali sulle tossicodipendenze segnalano una più larga diffusione di sostanze quali la ketamina per via iniettiva; sottolineano che, sebbene la media nazionale di prevalenza dell’Hiv si attesti all’11,1% e dell’Hcv al 61%, in Lombardia essa supera il 35% per Hiv e l’80% per Hcv; altre regioni vanno ben oltre la media nazionale. Ci sembra quindi assurdo relegare l’obiettivo sanitario a fanalino di coda.
Né si può ignorare la spesa, anche se la questione economica non può essere esclusiva: i farmaci per l’Hiv rappresentano una delle prime voci della spesa farmacologica; in Lombardia, nel 2010 si sono spesi circa 300 milioni di euro per l’assistenza alle persone che vivono con l’Hiv, di cui 193 in terapie.
I primi programmi di scambio-siringhe si sono sviluppati nel nord Europa negli anni ’80, prendendo avvio in Olanda grazie all’iniziativa degli stessi consumatori. Vanno sicuramente attualizzati ma le problematiche dell’Hiv e dell’epatite C non possono essere trascurate; tanto più oggi, che anche la comunità  scientifica italiana ha finalmente preso una posizione favorevole riguardo la riduzione del danno e gli organismi governativi (Ministero della Salute e Dipartimento Antidroga) stanno rivedendo i loro pregiudizi. Certamente la legislazione italiana sulle droghe va rivisitata: l’approccio repressivo e punitivo – è ormai scientificamente provato – fa aumentare le infezioni e lievitare i costi, induce nuovi bisogni sociali e provoca ulteriore sofferenza. Va detto che l’ostracismo ideologico verso la riduzione del danno non è esclusivamente italiano; solo con Obama, gli Usa hanno aperto al finanziamento pubblico di questi interventi.
A nostro parere, deve esserci maggiore connessione tra mondo delle dipendenze e mondo clinico-infettivologico.
Anche se gli interventi di riduzione del danno hanno portato con sé un’importante apertura ai diritti e ad altri temi sociali, devono essere prioritariamente finalizzati alla difesa della salute.


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