Quelle battaglie fallite sul vincolo (che i piccoli non hanno)

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L’economista di Forza Italia suggeriva di modificare l’articolo 18 dando la possibilità  alle imprese, ma solo sulle future assunzioni, di licenziare i lavoratori per motivi economici, dietro indennizzo. Così, secondo il ministro, si sarebbero incentivate le assunzioni dei giovani. Dopo tre mesi, il governo, su proposta dell’allora ministro del Lavoro Roberto Maroni, approvò il disegno di legge delega 848, che prevedeva la sospensione delle tutele dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori in tre casi: aziende che escono dal nero; che, assumendo, superano i 15 dipendenti; che stabilizzano i contratti a termine. La sospensione era sperimentale per 4 anni. Anche allora la reazione dei sindacati fu dura: tutti contrari. Favorevolissima, invece, la Confindustria di Antonio D’Amato.
Dopo un paio di scioperi, a sorpresa, il fronte sindacale si spaccò: Maroni e l’allora sottosegretario, Maurizio Sacconi, proposero una trattativa, la Cisl di Pezzotta e la Uil di Angeletti, dopo diversi incontri segreti, accettarono, la Cgil no e il 23 marzo Sergio Cofferati guidò una grandissima manifestazione di protesta a Roma, con comizio finale al Circo Massimo. Che portò a una mezza ritirata del governo, col trasferimento della parte di delega sull’articolo 18 in un disegno di legge, l’848 bis, che non verrà  mai approvato. Una vittoria a difesa di un diritto inviolabile dei lavoratori, secondo la Cgil. Un’opportunità  persa, secondo gli altri. Fu una battaglia campale, nonostante, a ben vedere, l’articolo 18 riguardi sì e no la metà  dei lavoratori italiani, quelli delle aziende con più di 15 dipendenti. Che sono pochissime, come ci ha ricordato proprio ieri l’Istat. Su un totale di 4,4 milioni di imprese, infatti, ben 4,1 hanno meno di 10 dipendenti per un totale di 8 milioni di addetti e altre 145 mila stanno tra i 10 e i 20 lavoratori con 1,8 milioni di dipendenti. Nelle piccole l’articolo 18 non vale e si può licenziare indennizzando il lavoratore.
Nel 2009, comunque, sette anni dopo la battaglia del 2002, ancora un governo Berlusconi ha provato a intervenire sui licenziamenti, questa volta senza modificare direttamente l’articolo 18. Lo strumento è il «collegato lavoro» alla Finanziaria, che al termine di un lunghissimo iter parlamentare ingloba anche la “clausola compromissoria”, con cui datore di lavoro e dipendente, all’atto dell’assunzione, si impegnano a demandare a un arbitro privato, anziché al giudice, tutte le controversie, licenziamenti inclusi. Ma questa volta è Giorgio Napolitano a intervenire, rinviando la legge alle Camere con un messaggio. Il lavoratore che deve essere assunto, osserva il presidente della Repubblica, è in una condizione di «massima debolezza» tale da indurlo ad accettare la clausola compromissoria, e questo non va bene. A Sacconi, questa volta ministro, non resta che togliere dalla clausola i licenziamenti.
L’articolo 18, ancora una volta, è salvo. Ma il ministro del Welfare, di lì a poco, presentando il progetto di «Statuto dei lavori», torna alla carica con un approccio morbido, invitando imprese e sindacati a discutere se sia il caso o meno di modificare la disciplina dei licenziamenti. Il 12 luglio il Consiglio europeo, nella raccomandazione sul Programma italiano di stabilità  2011-14, critica il dualismo del mercato del lavoro: anziani troppo protetti, con i licenziamenti «soggetti a norme rigorose e procedure onerose», l’articolo 18, mentre i giovani sono senza tutele». Nel decreto di Ferragosto Sacconi inserisce il contestato articolo 8 che autorizza intese aziendali anche in deroga all’articolo 18. E infine, l’altro ieri, la lettera del governo all’Ue con l’impegno a rivedere le norme sui licenziamenti per motivi economici, mentre il nuovo governatore della Banca centrale europea, Mario Draghi, parlava di «accentuato dualismo del nostro mercato del lavoro».
Come finirà ? Intanto va osservato che, al di là  della levata di scudi, il fronte sindacale è gia diviso, con Cisl e Uil che non pensano a iniziative con la Cgil e, comunque, prima di decidere, vogliono vedere che cosa proporrà  Sacconi quando aprirà  la trattativa. Uno spiraglio per discutere potrebbe anche esserci, se non fosse che il governo è ormai logoro e, con le pesanti manovre estive, in particolare sul pubblico impiego, ha compromesso il dialogo anche con i sindacati moderati.


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