“Valterino”, Bisignani e Milanese è il network massone dei faccendieri

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“Ieri sera ho parlato con Bertone, mi ha chiamato lui”, esulta Valter Lavitola al telefono con “Ciccio” Colucci, suo antico mentore socialista e oggi berlusconiano questore della Camera.
Bertone chi? Ma come? Il segretario di Stato Tarcisio Bertone, il porporato più potente in Vaticano. Solo una millanteria dello scellerato manipolatore delle retrobotteghe del potere ingordo, dedito al grande saccheggio di ricchezza e di democrazia, o davvero il Principe della Chiesa si adopera nel 2009 con Berlusconi per far assurgere il talpone rapace e querulo con le segretarie, ma assertivo con il premier e molti suoi ministri, al ruolo di sottosegretario, refilando un po’ di deleghe al Gentiluomo di Sua Santità  Gianni Letta? O a fargli prendere il posto di commissario per il terremoto in Abruzzo?
A osservare la grande porta girevole di lobby e confraternite, compassi e cilici, Massoneria e Opus Dei, popolata di faccendieri e devoti, magistrati e grand commis, generali felloni e spie doppie, consoli e ambasciatori, guardie di finanza e imprenditori senza scrupoli, ministri e cardinali, tutti uniti da fedeltà  e mutue protezioni, viene da sospettare che persino la vanteria lavitoliana sul cardinale possa essere un autentico tassello del network d’interessi opachi che da lustri governa l’Italia.
Valter Lavitola, Marco Milanese, Luigi Bisignani, tre dei volti del tempo, degli abusi di potere, per i quali ogni cosa è lecita all’ombra del sigillo di comando che promana da palazzo Chigi e da palazzo Grazioli, talvolta in competizione tra loro, ma all’unisono nell’inquinare lo Stato in una coalizione d’interessi che Gustavo Zagrebelsky ha definito “anticristica”. Di che stupirsi? E’ una coalizione che viene da lontano, che lega i fili della P2, della P3, della P4 e di tutte le P, compresa la P di Panama, griffe dell’ultimo scandalo ai tempi del berlusconismo, che cementa all’ombra del populismo carismatico pezzi di oligarchie in una commistione che vede operare insieme appassionatamente non solo alte gerarchie politiche, militari e burocratiche, ma anche massoni e cattolici, lobby laiche e lobby vaticane.
Prendiamo l’ultimo pulcino del network, che vanta di aver messo il Principe della Chiesa al suo servizio per favorirgli la carriera politica. Valter Lavitola, nasce figlio di Peppino, medico psichiatra del boss camorrista Raffaele Cutolo, ai tempi della trattativa tra politica, camorra e Servizi segreti per liberare l’assessore doroteo campano Ciro Cirillo rapito dalle Brigate Rosse, con la provvista di fondi neri dell’Iri gestiti da Ettore Bernabei, grand commiss democristiano e soprannumerario dell’Opus Dei. Attratto dalla politica, il giovanotto si trasferisce a Roma, dove ai tempi del craxismo fa l’assistente parlamentare di “Ciccio” Colucci e subito si iscrive alla massoneria del Grande Oriente d’Italia. Tra Montecitorio e Loggia s’imbatte in Fabrizio Cicchitto, ex socialista lombardiano iscritto con Berlusconi alla P2 di Licio Gelli, e organizza il primo colpo della sua vita. Si impossessa con i finanziamenti pubblici dell'”Avanti”, la storica testata socialista, facendone il predellino dei suoi affari. La dirige insieme ad Aldo Chiarle, antico massone di alto grado, il quale scriverà : “Non ho avuto la fortuna di conoscere il primo direttore dell’‘Avanti’, il socialista e massone Leonida Bissolati e non l’ho potuto abbracciare e salutare chiamandolo compagno e fratello, come faccio con l’attuale direttore Valter Lavitola”. Ma una massoneria vale l’altra, come dimostrò tanti anni prima il piduista Bisignani, che riciclò i cento e passa miliardi di lire della tangente Enimont alla lavanderia dello Ior, l’inespugnabile banca vaticana asserragliata nel Torrione di Niccolò V. Sessanta miliardi transitarono sul conto “Omissis”, come in Vaticano veniva chiamato Andreotti, e parte passò nelle tasche del Bisi, che ancora sbarbato giocava a Gin rummy col presidente del Consiglio nel suo studio di piazza San Lorenzo in Lucina e che di lì costruì la sua attuale ricchezza.
“Santa Massoneria” o “Massoneria Santa”, gran maestri e cardinali, come l’ex ministro socialista Rino Formica ha sempre detto fin dai tempi dell’ex-madre di tutte le tangenti, accreditando la tesi delle doppie affiliazioni di affari e potere? Tutte le inchieste della stagione finale del berlusconismo, ogni intercettazione telefonica, sono lì a dimostrare i vasi comunicanti tra i due mondi, incistati nelle gerarchie dello Stato, negli alti comandi militari e della Guardia di Finanza, nei Servizi, nelle prefetture, nei gabinetti ministeriali, nelle grandi imprese pubbliche, dalla Finmeccanica all’Eni e all’Enel. Tutti protesi a fare nomine, a conquistare appalti truccati, a fare disinformatia, a costruire falsi dossier, come quello lavitoliano contro Stefano Caldoro per imporre la candidatura alla presidenza della Campania di Nick Cosentino, accusato di camorra, cui Valterino grida al telefono: “E’ Milanese (l’ex plenipotenziario di Tremonti sulla Guardia di Finanza-ndr) che lavora per incularci”. Quando occorre si silurano banchieri nemici, a prescindere dai loro meriti o demeriti, come è capitato ad Alessandro Profumo, in uggia a Fabrizio Palenzona e Geronzi, e per questo nel mirino di un complotto tra massonerie sante e laiche, di cui i nostri faccendieri furono i mazzieri.
Valterino, l’uomo che di notte sussurra al telefono del premier, il quale gli annuncia “la rivoluzione, ma la rivoluzione vera”, per “far fuori il palazzo di giustizia di Milano e assediare ‘Repubblica’”, è ormai competitivo con Bisignani, che in una telefonata definisce “uno stronzo”, ma con il quale condivide l’affiliazione catto-massonica tenendo nel dovuto conto il potere di un giovanottello trentaduenne circonfuso d’incenso che si è distinto nelle vicende della Protezione civile, dei grandi appalti pubblici e del G8 della Maddalena. Si chiama Marco Simeon e il suo nome spunta nella compagnia di giro che tiene insieme il cardinale Crescenzio Sepe e l’ex gentiluomo di Sua Santità  Angelo Balducci, Guido Bertolaso e Diego Anemone, l’ex ministro Pietro Lunardi e il ministro “a sua insaputa” Claudio Scajola, Propaganda Fide e le operazioni immobiliari sul patrimonio della Santa Sede, destinato in cambio di altre utilità  a gratificare finanziariamente i potenti di turno del berlusconismo, all’epoca ancora benedetto oltre il cortile di Sant’Anna. Questo Simeon, figlio di un benzinaio di Sanremo, cresce protetto della Curia di Genova e conquista posti di potere, come quello nella Fondazione della Cassa di Risparmio. E’ nel cuore del cardinale Tarcisio Bertone, che lo scoprì ai tempi della diocesi genovese. Il ragazzo è talmente sveglio e servizievole che se lo prende Cesare Geronzi prima in Capitalia, poi a Mediobanca per sostenere i brocchi imposti prima da Bisi, secondo la filosofia dell’utile idiota, che in una telefonata riassume così: “Questo che vogliono mettere è un idiota. Per cui, voglio dire, questo è già  molto positivo. Se tirano fuori dal cilindro uno fighissimo, poi non puoi neanche dirgli niente, no? ” Il giovane Simeon è così figo e così caro alle alte gerarchie vaticane che nel 2010 lo mettono a capo delle relazioni istituzionali della Rai anche per vigilare sul direttore generale Mauro Masi, che Bisignani e Lavitola considerano uno “sborrone”, lo stesso termine che il povero “Maurillo” usa annunciando che a Michele Santoro “je stamo a spaccà  er culo”. Dopo aver telefonato in diretta televisiva a Santoro, Masi chiama Bisignani e gli chiede: “Come sono andato?” E quello: “Hai fatto una figura di merda”.
Ecco, nel mare magnum di inganni e corruzioni di fine stagione del berlusconismo, brilla il network “Compasso e Cilicio” che viene da lontano, come documenta un libro-inchiesta di Angelo Mincuzzi e Giuseppe Oddo, in uscita per Feltrinelli col titolo “Opus Dei il segreto dei soldi”, nel quale si ricostruiscono i misteri dell’omicidio del finanziere opusdeista Gianmario Roveraro. In quell’acqua torbida Berlusconi ha sempre sguazzato dall’epoca palazzinara a Milano, fino a farne una delle cifre del suo potere, oggi plasticamente incarnato dai suoi scudieri, l’opusdeista Marcello dell’Utri, allevato nella prelatura, e il massone toscano Denis Verdini. Mentre Marina B., presidente della Mondadori, cura il versante opusdeista spagnolo.
“Nella massoneria e nell’Opus Dei – certifica la storico Aldo Mola interpellato da Oddo e Mincuzzi – convivono posizioni molto pragmatiche, disponibili a convergenze settoriali”. Altro che convergenze settoriali. Nella porta girevole del berlusconismo tutto si fonde in un potere torbido. Quello che le minoranze cristiane nel Forum di Todi hanno chiesto finalmente di sciogliere per liberare l’aria ammorbata della coalizione “anticristica” di interessi.


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