Rapporto Ilo/Onu: «Una generazione traumatizzata di giovani lavoratori precari e disoccupati»

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Secondo il rapporto «La sfortuna della generazione che arriva sul mercato del lavoro in questo periodo di grande recessione non si traduce solo nel malessere attuale suscitato dalla disoccupazione, dal sotto-impiego e dagli stress dei rischi sociali legati alla disoccupazione e all’ozio prolungato, potrebbe anche avere delle conseguenze a lungo termine, sotto forma di rimunerazioni più basse in futuro e di sfiducia verso il sistema economico e politico».

L’organizzazione del lavoro dell’Onu sottolinea che «Questa frustrazione collettiva tra i giovani è stata uno dei motori dei movimenti di protesta che hanno avuto luogo in tutto il mondo quest’anno, perché diventa sempre più difficile per i giovani trovare altro che un lavoro a tempo parziale o un impiego temporaneo».

Il rapporto spiega da questo punto di vista cosa e perché è davvero successo in Medio Oriente ed Africa del Nord: «Nel corso degli ultimi 20 anni, circa un giovane su quattro si è ritrovato disoccupato, malgrado i progressi compiuti in materia di educazione dei ragazzi e delle ragazze». E’ qui che è scaturita la scintilla che ha infiammato le rivolte arabe

Il numero assoluto dei giovani disoccupati sarebbe però leggermente diminuito dopo il picco raggiunto nel 2009: da 75,8 à  75,1 milioni alla fine del 2010, cioè il 12,7%, e  dovrebbe scendere a 74,6 milioni nel 2011, il  12,6%. Pero il rapporto attribuisce questo miglioramento al fatto che sempre più giovani si ritirano dal mercato del lavoro e non lo cercano nemmeno più: «Questo è particolarmente vero per le economie sviluppate e per l’Unione europea». Una tendenza particolarmente forte nell’ex tigre celtica del turbocapitalismo, l’Irlanda, dove il tasso di disoccupazione giovanile nel  2010 era del  27,5 %  contro il 18,5 del  2007, ma che sarebbe in realtà  del 46,8% perché un bel pezzo di disoccupazione è dissimulata nel sistema educativo.

Durante la crisi, l’espansione della manodopera giovanile è stata ben inferiore alle attese del 2010: nei 56 Paesi che hanno dati credibili il mercato del lavoro ha accolto  2,6 milioni di giovani, molto meno del previsto dalle tendenze a lungo termine pre-crisi. La percentuale di coloro che cercano lavoro da oltre 12 mesi nei Paesi sviluppati è molto più elevata tra i giovani che tra gli “adulti”: in  Italia, Grecia, Slovacchia e Gran Bretagna i giovani sono da due a tre volte più a rischio disoccupazione di lunga durata degli adulti.

Tra il 2007 e il 2010 il tasso di lavoro a tempo parziale tra i giovani è aumentato in tutti i Paesi sviluppati, esclusa la Germania, con punte del 17% in più in Irlanda  e dell’8,8% in Spagna, lasciando pensare che il lavoro precario sia l’unica opzione a disposizione dei giovani. Alla fine del  2010 praticamente tutti I giovani avevano un lavoro a tempo parziale in Canada, Danimarca, Olanda e Norvegia. Eppure la percentuale di giovani lavoratori che vorrebbe lavorare di più supera quella degli adulti in tutti i Paesi europei, escluse Germania ed Austria.

I Paesi in via di sviluppo a basso reddito sono prigionieri di un circolo vizioso povertà -lavoro: «Se si studia la disoccupazione giovanile in maniera isolata – spiega l’Ilo – si potrebbe credere a torto che la gioventù dell’Asia del Sud o dell’Africa sub sahariana esca bene dal rapporto rispetto a quella delle economie sviluppate. Infatti il rapporto elevato occupazione-popolazione per i giovani delle regioni più diseredate vuole semplicemente dire che questi giovani non hanno altra scelta che lavorare. A livello mondiale, si hanno molti più giovani che sono intrappolati nella loro condizione di lavoratori poveri che giovani senza lavoro o che cercano un impiego».

Il rapporto propone una serie di iniziative politiche per promuovere l’occupazione giovanile, quali: «Elaborare una strategia integrata di crescita e di creazione di l posti di lavoro basata sui giovani; migliorare la qualità  degli impieghi rafforzando le normative sul lavoro; investire nell’insegnamento e in una formazione di qualità  e, forse ancora più importante, perseguire politiche finanziarie e macroeconomiche che puntino a togliere gli ostacoli alla ripresa economica».

José Manuel Salazar-Xirinachs, direttore esecutivo del settore lavoro dell’Ilo, spiega che «Queste nuove statistiche riflettono la frustrazione e la collera che sentono milioni di giovani nel mondo. I governi si devono sforzare di trovare delle soluzioni innovative per intervenire sul mercato del lavoro, per esempio affrontando il divario di competenze tra l’offerta e la domanda, offrendo un accompagnamento alla ricerca di lavoro, una formazione al mestiere di imprenditore, delle sovvenzioni per le assunzioni, ecc. Queste misure possono veramente fare la differenza ma, alla fine dei conti, maggiori posti di lavoro dovranno essere creati grazie a delle misure esterne al mercato del lavoro per togliere gli ostacoli alla ripresa della crescita, soprattutto accelerando il recupero del sistema finanziario, la ristrutturazione e la ricapitalizzazione delle banche, al fine di rilanciare il credito alle piccole e medie imprese e realizzando dei veri progressi per riequilibrare la domanda mondiale».


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