Rissa tra Fini e i leghisti “Vogliono ammazzarmi” Bossi: “Va a quel paese”

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ROMA – Il mezzogiorno di fuoco di Montecitorio comincia con il coro leghista «dimissioni, dimissioni» all’indirizzo del presidente della Camera e i quattro commessi che bloccano a stento il montante sinistro del finiano Barbaro contro il leghista Rainieri. Prosegue con le scuse della presidente pro-tempore Rosy Bindi alla scolaresca che dalla tribuna assiste sbigottita alla scena. Seduta sospesa. E termina con Umberto Bossi che fuori dalla Camera manda (virtualmente) «a quel paese» Gianfranco Fini: «La pensione di mia moglie è regolare, quando uno va in pensione ci va con le regole che ci sono».
Già , la pensione di sua moglie, Manuela Marrone. La miccia l’aveva accesa martedì sera il leader di Fli davanti alle telecamere di Ballarò: «Non tutti sanno che c’è una insegnante che è andata in pensione nel ‘92 a 39 anni: è la moglie dell’onorevole Bossi». E giù il diluvio, già  in studio con la Gelmini e Rotondi. Il resto si scatena ieri mattina. Il capogruppo del Carroccio Reguzzoni apre la seduta col chiaro intento di venire alla resa dei conti col presidente della Camera che in quel momento non è in aula: «Scandalose le parole in tv sulla moglie del nostro ministro, lei non può sedere in uno studio tv al pari di altri leader politici». E ancora: «Noi non siamo mai scesi nel gossip, non abbiamo mai fatto il nome della moglie di Fini che invece nel gossip c’è scesa eccome».
Nell’emiciclo scoppia la bagarre, complici i banchi confinanti di leghisti e finiani. Italo Bocchino non fa in tempo a iniziare l’intervento che partono i «buffone» e le urla «ape regina» (con allusione ai gossip estivi) dalla maggioranza. E quelli di Fli: «Credieuronord-Credieuronord» (la banca di riferimento del Carroccio finita in malo modo). La temperatura sale. Claudio Barbaro di Fli decide di passare alle vie di fatto contro l’urlatore leghista Fabio Rainieri. È sufficiente, la Bindi sospende la seduta. Che riprende da lì a poco sotto la presidenza di Gianfranco Fini. Lo accolgono nuovi cori di «dimissioni». Come steward allo stadio, i commessi si frappongono tra le file delle opposte tifoserie. Si riapre il match. Stavolta è il capogruppo Pdl Cicchitto ad annunciare che la maggioranza «investirà  il presidente Napolitano della difficoltà  istituzionale determinata dal comportamento del presidente Fini». Poi tocca al “responsabile” Silvano Moffa, ex An, che incassa molteplici «venduto» dai finiani. Le difese del presidente le prenderanno il dipietrista Donadi e poi Franceschini del Pd e Casini: «In piena crisi europea, parliamo di una trasmissione tv? Qui precipitiamo nella surrealtà ». Fini, serafico, ringrazia per il dibattito (altre urla), respinge le accuse di partigianeria e rinvia «ad altra sede» la sua replica «politica». Quando in serata, in un dibattito di Confindustria a Rieti, gli chiederanno dell’insulto di Bossi, taglierà  corto: «Preferisco restare su cose serie».
Giornata difficile, giornata amara, la sua. Comunque per nulla disposto a gettare la spugna come gli chiedono. «Se pensano di zittirmi si sbagliano – dice il leader Fli ai suoi che gli si stringono intorno in presidenza – Hanno provato ad ammazzarmi politicamente in tutti i modi: cacciandomi dal Pdl, gettandomi fango su case e finte escort, pensavano di farmi fuori e ora che non ci sono riusciti, mi temono e mi attaccano». La replica ci sarà  e avrà  il sapore della sfida, perché avverrà  la settimana prossima in un altro talk-show televisivo. Perché «sembra non ci sia un articolo della Costituzione» che vieti al presidente della Camera di fare politica o di andare in tv, prosegue nel suo ragionamento Fini. Occorre imparzialità  nella gestione dell’aula e quella, resta convinto, «è fuori discussione: non la riconosce solo chi è in malafede». E allora investano pure il Colle. Il leader di Fli non teme ripercussioni. Il presidente Napolitano è già  intervenuto per iscritto due settimane fa per riconoscerne la linearità  nella vicenda del contestato voto sul rendiconto dello Stato. Quanto all’insulto di Bossi, in privato Fini si è limitato a constatare come, al di là  del colore, il ministro non abbia smentito la storia della moglie. Anche perché il suo non era un insulto, «ma un dato di fatto».


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