Tavola della pace: “Afghanistan, il silenzio è inammissibile!”

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Un mese fa non c’è stato un giornale o una televisione che non abbia dedicato ampio spazio al decennale dell’11 settembre. Oggi invece il silenzio è totale. Eppure il 7 ottobre 2001 è iniziata una guerra disastrosa che ci vede ancora pienamente coinvolti. Possiamo permetterci di non fare un bilancio di questi dieci anni di guerra? Possiamo fingere di non vedere il disastro che ha provocato? Possiamo evitare di discutere quello che dobbiamo fare ora?

Mettiamo per il momento da parte le riflessioni morali, politiche e militari e guardiamo solo agli aspetti biecamente economici della faccenda. Se il primo anno di guerra in Afghanistan ai contribuenti italiani è costato circa settanta milioni di euro, oggi ne costa più di settecento. Quante famiglie in difficoltà  potremmo aiutare con due milioni di euro al giorno? A quanti giovani potremmo offrire un posto di lavoro?

Tra poche settimane il Parlamento sarà  chiamato ancora una volta a decidere se e come rifinanziare la partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan. Nessuno può permettersi di giungere a quell’appuntamento nello stesso modo in cui ci si è arrivati per dieci anni, senza un vero confronto politico pubblico, senza una valutazione della strada che si sta percorrendo, senza una strategia e degli obiettivi chiari.

Decidere cosa fare della nostra presenza in Afghanistan è questione di grande rilievo pubblico nazionale e dopo dieci anni di guerra solo degli irresponsabili possono pensare di rifinanziare automaticamente la missione. Gli Stati Uniti hanno già  inviato in Afghanistan il generale incaricato di organizzare il loro ritiro, alcuni paesi occidentali lo hanno già  effettuato, altri l’hanno avviato. E noi cosa vogliamo fare? Restare sino al giorno in cui se ne andranno gli americani? Aspettare che gli americani ci dicano cosa dobbiamo fare? Fino ad oggi questo dibattito è stato condotto nelle segrete stanze da un manipolo di militari e politici. Ora non è più ammissibile. Anche dal punto di vista economico. Ogni soldo speso per continuare a fare la guerra in Afghanistan è un soldo sottratto agli italiani che vivono nell’insicurezza quotidiana” – colcude Lotti.

Va ricordato che il mese scorso una delegazione della Tavola della pace e dell’associazione americana dei familiari delle vittime dell’11 settembre Peaceful Tomorrows si è recata a Kabul per raccogliere un punto di vista inedito: quello dei familiari delle vittime della guerra e del terrorismo e quello della società  civile afgana. Vincendo mille paure, resistenze, pressioni e preoccupazioni, otto esponenti della società  civile italiana e americana sono stati per cinque giorni nella capitale afgana cercando di capire cosa c’è di vero oltre la propaganda e la disinformazione, i luoghi comuni e i pregiudizi. E’ stata la prima volta per una delegazione ufficiale di pacifisti occidentali.

Dall’arrivo dei soldati sovietici, nel 1978, in Afghanistan non si è mai smesso di combattere. Un’intera generazione è cresciuta conoscendo solo violenza. Dall’invasione dell’ottobre 2001 gli Stati Uniti hanno speso per le operazioni militari 444 miliardi di dollari, circa 315 miliardi di euro. Secondo lo studio di un’università  americana pubblicato in questi giorni, le vittime del conflitto sono almeno 33.877, in gran parte civili – riporta l’agenzia Misna. L’agosto scorso, con la morte di 67 soldati, è stato il mese peggiore per l’esercito americano.

Ieri Amnesty International ha diffuso un comunicato nel quale, facendo un bilancio a dieci anni dall’intervento militare in Afghanistan afferma che “dieci anni dopo l’invasione dell’Afghanistan promossa dagli Usa e che cacciò i talebani dal paese, il governo di Kabul e i suoi alleati internazionali non hanno mantenuto molte delle promesse fatte alla popolazione afgana”. “Nel 2001, dopo l’intervento internazionale, le aspettative erano elevate, ma da allora i passi avanti verso il rispetto dei diritti umani sono stati pregiudicati dalla corruzione, dalla cattiva gestione e dagli attacchi degli insorti, i quali mostrano un disprezzo sistematico per i diritti umani e le leggi di guerra” – ha dichiarato Sam Zarifi, direttore di Amnesty International per l’Asia e il Pacifico. “Oggi, molti afgani sperano ancora che la situazione dei diritti umani nel paese migliori. Il governo e i suoi alleati internazionali devono dare seguito a queste speranze e difenderle con azioni concrete”.

Oggi a Trento, l’Associazione Afghanistan 2014 insieme al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e al portale d’informazione Unimondo invitano a prendere parte alla conferenza stampa di presentazione del progetto “Afghanistan 2014” (ore 11.00 presso lo spazio al S.A.S.S. di piazza Cesare Battisti). Grazie all’impegno di persone provenienti dall’Afghanistan che oggi vivono in Trentino e alla rete di contatti con rifugiati presenti in tutta Europa è stato elaborato un progetto che si svilupperà  nel corso degli anni 2012, 2013 e 2014, per monitorare ciò che accade in Afghanistan e dare voce alla società  civile – sia a quella afghana che a quella costretta ad emigrare a causa della guerra – per non lasciare il futuro del paese nelle mani solo dei signori della guerra.

Il 7 ottobre 2001 sono iniziati i bombardamenti americani sul paese. A distanza di 10 anni la prospettiva che si presenta al popolo afghano è quella di un annunciato graduale ritiro delle forze internazionali, e probabilmente di una presa di potere da parte dei potentati militari locali. Il progetto “Afghanistan 2014” vuole invece provare a disegnare uno scenario diverso, utilizzando i tre anni che separano dal 2014 per costruire un dibattito internazionale che possa portare al nascere di un effettivo discorso democratico anche all’interno del paese. Il progetto propone la nascita di un osservatorio permanente sulla questione afghana, una raccolta di articoli e delle diverse forme di espressione culturale e artistica, la realizzazione di un portale internet come luogo di incontro di intellettuali e artisti afghani, la stesura di una “Carta per l’Afghanistan” (con riflessioni sul federalismo e l’autonomia regionale, in collaborazione con il mondo universitario), la realizzazione di un film, l’ideazione di eventi di respiro europeo, e molto altro. Alla conferenza stampa di presentazione sarà  presente anche Mohammad Dauod Hussain Ali, giornalista afghano della rete televisiva BBC. [GB]


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