Tunisia, l’Eni sotto ricatto
TUNISI. Aumenta l’angoscia dei 28 lavoratori tunisini e un italiano sequestrati e rinchiusi nell’impianto dell’Eni a Tazarka, vicino a Nabel nel nord della Tunisia. L’impianto preso d’assalto venerdì 21 ottobre da un gruppo di criminali guidati da Ridha ben Salah – noto nella zona anche perché su di lui pende un mandato di cattura -, continua ad essere nelle mani dei sequestratori. Gli operai controllano i macchinari nel timore che qualsiasi azione sconsiderata come una cicca di sigaretta buttata via possa dare alle fiamme il petrolio e procurare una catastrofe, sostiene Saidifi, il responsabile macchine. Insieme ai tunisini vi è anche il comandante di bordo italiano, Girolamo Croce, che per informazioni ci dice di rivolgerci all’Eni di Tunisi. Quando riusciamo a trovare il numero di telefono, gli uffici della capitale sono chiusi, da appena dieci minuti.
Gli operai possono essere contattati dall’esterno, ma la mamma di uno di loro ci prega di non metterli in imbarazzo con domande troppo precise. Loro rispondono ma sono sempre sotto tiro dei sequestratori che chiamano «miliziani». È Ramsi, del blog collettivo indipendente Nawaat, che ha diffuso la notizia – appresa dal fratello di uno dei sequestrati che vive in Canada -, a tenere da giorni i contatti con i lavoratori e le famiglie e a premere sulle autorità perché intervengano. La situazione degli operai, dopo giorni senza cibo e medicine, si era fatta drammatica, così mercoledì i sequestratori, su pressione della popolazione locale, hanno concesso due ore di tregua per permettere l’evacuazione di quattro malati gravi che sono stati portati in ospedale. Poi tutto è tornato come prima, anche se la popolazione ha trovato degli escamotage per fare entrare un po’ di cibo, ci dice la mamma di uno degli operai. I criminali non hanno problemi di approvvigionamenti, vengono riforniti ogni notte, soprattutto di alcool, da un camion.
La rivendicazione del gruppo – che va da 50 a 200 uomini a secondo dei momenti – è di 2 milioni di dinari per la municipalità e 4.000 per ogni abitante. La rivendicazione fa leva sulle proteste della popolazione per il disastro ambientale provocato dall’impianto Eni che tratta i prodotti dei campi petroliferi off shore di Maamoura e Baraka, che si trovano rispettivamente a 30 e 50 chilometri dalla costa tunisina. Ma i sequestratori non hanno nulla a che vedere con la popolazione che condanna l’azione che mette a rischio innanzitutto i lavoratori tunisini.
Le varie autorità sono state contattate ma per ora nessuno si muove, o se si muove non si sa e non si vede. Eppure si tratta di una situazione molto inquietante per i rischi che l’impianto possa essere danneggiato con le inevitabili conseguenze per la popolazione nel raggio di 25 chilometri, sostengono i lavoratori. L’impianto ha tre porte d’accesso, nessuna delle quali era protetta, pur essendo la Tunisia in un momento particolarmente delicato alla vigilia delle elezioni. È possibile che si lascino siti così rischiosi e strategicamente importanti incustoditi? Ma, ancora più strano, è che anche dopo il sequestro le forze dell’ordine non si siano mai avvicinate. Perché? Non vogliono mettere a rischio i lavoratori? Questo sarebbe plausibile se si decidesse di avviare una trattativa, ma per ora non c’è una trattativa in corso, nessuno si è offerto per una mediazione, e ovviamente nessuno tirerà fuori i soldi chiesti.
L’azione commessa dai criminali – di loro iniziativa? Sembra improbabile – mette in evidenza la mancanza di sicurezza in Tunisia. A chi può giovare questa dimostrazione di debolezza e di inaffidabilità ? Si potrebbero fare molte ipotesi. La fase è molto delicata e c’è chi soffia sul fuoco anche in questo momento, anzi proprio in questo momento. Mentre tardano ad arrivare i risultati definitivi delle elezioni.
Per il momento ci limitiamo a chiedere alle autorità competenti – il governo tunisino, l’Eni, la Farnesina – di intervenire il più in fretta possibile per liberare i lavoratori tunisini e il loro capo italiano. Naturalmente il risanamento dell’ambiente nella zona è una richiesta più che legittima da parte della popolazione che non può però essere strumentalizzata da criminali di professione.
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