Un elefante in bicicletta, la seconda economia del pianeta rallenta

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 PECHINO. Visto dall’Europa travolta dalla crisi, il +9,1% fatto registrare dal prodotto interno lordo (pil) cinese nel terzo trimestre di quest’anno potrebbe apparire un risultato straordinario. Ma gli economisti di Pechino paragonano il Paese che dalle riforme di Deng Xiaoping cresce a un tasso medio annuo del 9,4% a un elefante in bicicletta: se rallenta, cade e fa tremare la terra. E per la seconda economia del pianeta quello ufficializzato ieri rappresenta il dato peggiore da due anni a questa parte, nonché il terzo trimestre consecutivo in cui la produzione ha decelerato, rispetto allo stesso periodo nell’anno precedente. Dovendo fare i conti con la recessione alle porte dei suoi principali partner commerciali (Europa e Usa) logico che anche la Repubblica popolare si preoccupi.

Un disastro? Niente affatto. L’inflazione è scesa al 6,1% e, anche se si mantiene ben al di sopra dell’obiettivo previsto del 4%, molti analisti si dicono convinti che quella che il premier Wen Jiabao ha definito una «tigre» stia per essere rimessa in gabbia grazie alle politiche aggressive dell’ultimo anno: alle banche è stato imposto per nove volte di aumentare le riserve valutarie, la Banca centrale ha alzato il tasso d’interesse per cinque volte consecutive nel corso del 2010, gli istituti di credito sono stati inoltre obbligati a contenere i prestiti e sono stati posti limiti al numero di appartamenti acquistabili per tentare di sgonfiare la bolla immobiliare. Il mese scorso in 59 città  – sulle 70 censite dall’Ufficio centrale di statistica (Nbs) – i prezzi delle nuove case sono aumentati meno dello stesso periodo dell’anno precedente, proseguendo il trend di agosto, quando il raffreddamento era stato registrato in 40 centri su 70.
Secondo il Nbs ci sono ottime possibilità  che, nonostante la crisi internazionale, l’economia cinese continui a crescere, in maniera più equilibrata, anche nei prossimi mesi. Insomma tutti si augurano che stia procedendo per il meglio il piano definito di «atterraggio morbido» che prevede una diminuzione controllata sia della crescita che dell’inflazione. In particolare l’obiettivo del Partito comunista (Pcc) è quello di aumentare la domanda interna per diminuire la dipendenza dall’export.
Anche gli esperti del Fmi che lo scorso fine settimana hanno presentato le loro stime per il 2012 sperano che queste previsioni si avverino, ma c’è un grosso «ma» che si chiama Europa, perché la crisi delle banche europee e dei debiti sovrani rischia di far crollare la domanda dal Vecchio continente (il primo acquirente dei prodotti cinesi, 380 miliardi di dollari nel 2010). «La traiettoria dell’economia cinese nei prossimi 18 mesi dipenderà  interamente da quella della crescita europea – ha spiegato alla Bbc Alistair Thornton, analista di IHS Global Insight. – Se le cose non vanno come previsto in Europa, allora potremo trovarci di fronte a una situazione simile a quella del 2008-2009». A quel punto alle autorità  non resterebbe che allentare la politica fiscale, come chiedono le piccole e medie imprese penalizzate dalla stretta creditizia degli ultimi mesi.
Sempre che non abbia ragione chi invece ritiene che la crescita di una classe media in grado di aumentare in maniera costante e massiccia i propri consumi (le vendite al dettaglio hanno fatto registrare un + 17,7% a settembre) e gli investimenti interni (il Paese è un immenso cantiere) abbiano in realtà  già  messo la Cina al riparo da eventuali shock esterni.


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