USA: Crisi, nasce la generazione-straordinario

by Sergio Segio | 25 Ottobre 2011 16:29

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MILANO– Quando arriva il momento di spegnere luce, computer, chiudere la porta dell’ufficio dietro di sé e andare a casa? Sempre più tardi per i lavoratori americani, che negli ultimi 3 anni non si sono risparmiati e hanno lavorato sempre di più, tanto che, fare straordinari è diventata l’abitudine, la nuova normalità . Pagate o meno, magari forfettizzate, oppure regalate all’azienda di turno, le ore di lavoro in più all’alba e alla sera sono diventate parte integrante di un modo di vivere da «lavoratore diffuso». La mail si controlla dallo smartphone, non si lesina una risposta telefonica al cliente che chiama nei giorni di festa, o al capo che ha da comunicare una novità  in tarda serata. E sovente si corre «a chiamata per riunioni improvvise o emergenze, se il datore di lavoro chiama. È la nuova «generazione-straordinario», mutuata dalla crisi e dalla recessione, una schiera di lavoratori pronti a tutto pur di mantenere il proprio posto di lavoro, abituati (e rassegnati) a essere reperibili sempre.

I DATI – Accade a due terzi dei lavoratori americani, secondo la ricerca svolta da Towers Watson sui dipendenti di oltre 300 aziende statunitensi e canadesi. Il 65 per cento dei loro impiegati infatti negli ultimi anni ha aumentato il monte ore lavorate, con il beneplacito delle aziende interrogate, e questo trend aumenterà  ancora nei prossimi anni, secondo le risorse umane di queste società . In più, per portare avanti i propri compiti, un dipendente su 3 avrebbe rinunciato alle ore di permesso e ad alcuni dei giorni di ferie a disposizione. A fine anno dunque, le ferie non godute crescono sempre più. Se da un lato le società  interrogate dichiarano di aver sempre maggior difficoltà  a trovare personale preparato per alcuni ruoli chiave, anche in tempo di crisi, e di utilizzare maggiormente le risorse interne per coprire le funzioni più delicate, dall’altro la stessa ricerca rivela che il 56 per cento di queste aziende ora è preoccupato per gli effetti, sul lungo periodo, che il troppo lavoro potrebbe avere sui suoi dipendenti. Una preoccupazione che riguarda sia l’abilità  del mantenere un giusto equilibrio tra vita privata e professionale, sia ovviamente la produttività  stessa una volta arrivati al lavoro.

ATTENTI AL CUORE – E i rischi per la salute sono più concreti che mai. La giornata professionale espansa, diceva una ricerca inglese dello scorso anno farebbe infatti male al cuore: lo studio aveva calcolato come chi lavora dalle 10 ore in su al giorno sia a maggiore rischio di infarto, anche del 60 per cento in più rispetto a chi finisce il suo turno e si dedica alla vita privata. Ma anche in Gran Bretagna, come accade negli Stati Uniti, le ricerche sulle ore lavorate mostrano come sia necessario per molti lavorare a lungo, per poter portare a termine i propri compiti. Secondo i dati dell’Aviva health of the workplace report un terzo dei dipendenti inglesi è costretto a lavorare di più, perché ha troppo da fare. Uno su cinque ammette anche che questo ritmo di lavoro li pone in una condizione di stress e sotto pressione.

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