Antisemitismo, tra ignoranza e propaganda dei media

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La particolarissima storia del popolo ebraico che si incarna in una determinata religione, pur superandone i confini (per essere ebrei non è necessario essere credenti), che ha vissuto persecuzioni terribili e che oggi viene erroneamente identificato del tutto con lo Stato di Israele, ci fa capire come questi atteggiamenti ostili siano la cartina di tornasole per capire lo stato della democrazia nei vari paesi del mondo. Non si tratta soltanto di essere “pro o contro” gli ebrei ma di stare dalla parte della tutela dei diritti umani. L’odierna Giornata internazionale contro il fascismo e l’antisemitismo si colloca in questo solco: combattere il revisionismo e il disprezzo verso il diverso è una battaglia per la tutela della libertà .

Restano alcune difficoltà  di fondo legate alla delicata situazione in Medio Oriente: fin dove si possono legittimamente criticare le scelte politiche del governo israeliano? Chi ci guadagna da un certo pregiudizio anti israeliano? Gli “ebrei” si sono trasformati da “eterne vittime” a “efferati colpevoli”? Si tratta di un problema di linguaggio. Ma in Medio Oriente le parole sono pietre, anzi pallottole, anzi bombe. Per questo chi vuole lavorare per la causa della pace deve cominciare a stare attento con le parole. Che possono involontariamente alimentare l’odio, il rancore, il fanatismo. Ma la questione è più generalizzata.

Varie indagini, soprattutto realizzate in un contesto europeo, rivelano la costante presenza di episodi di antisemitismo, a volte connessi chiaramente alle vicende del conflitto israelo-palestinese (nel 2009 si è registrato un picco a seguito della guerra contro Gaza), a volte legate a un generale clima di intolleranza e a motivazioni politiche più interne. L’Unione Europea, attraverso la FRA, Agenzia per i diritti fondamentali, monitora gli episodi di antisemitismo nei vari paesi europei: nell’ultimo rapporto (in .pdf) si evidenzia il calo di questi fatti che permangono però in una dimensione preoccupante soprattutto in Francia e Regno Unito. Secondo l’Istituto per lo studio dell’antisemitismo e del razzismo contemporaneo (TAU) il più alto numero di episodi registrati nel 2010 afferiscono a questi due paesi a cui si aggiunge il Canada: ben il 60 % degli eventi di antisemitismo avvengono nei 3 stati citati.

Il mese scorso, il 16 ottobre, è stato presentato il documento finale, approvato all’unanimità , elaborato dal Comitato d’indagine sull’antisemitismo, formato da parlamentari di varie commissioni del Senato della Repubblica e della Camera dei deputati, un organismo che ha fatto luce sulla situazione dell’Italia. Il nostro paese non è colpito da una presenza minacciosa di ideologie e di gruppi razzisti e antisemiti anche se, soprattutto nella rete internet, si manifesta in misura notevole un linguaggio al limite dei reati. Le curve degli stadi, vera “terra di nessuno” dove alberga tranquillamente l’insulto razzista e il fascismo è definitivamente sdoganato, sono le palestre dell’intolleranza e del revisionismo, ma anche della galassia black bloc. Idee violente legate all’integralismo di matrice islamica e a gruppi dell’estrema sinistra filo palestinese sono invece meno presenti e pericolose anche se non trascurabili.

Il vero terreno su cui lavorare è quello dei giovani. Un’indagine (in .pdf) condotta dall’Istituto Ricerche politiche e socioeconomiche (IARD) per conto dell’Osservatorio sui fenomeni di xenofobia e razzismo, presentata al Comitato nel novembre 2010, parla di un 22% di giovani che dimostra antipatia nei confronti degli ebrei, di cui il 6% con un approccio di tipo radicale. L’80 per cento di questi giovani non conosce e non ha avuto alcuna esperienza di contatti con il mondo ebraico. Il 75% non ha avuto occasione di fare tale esperienza e il 7% non ha voluto cogliere l’occasione di farla, preferendo restare nell’ignoranza e nell’ottica dell’antipatia. I giovani in questione sono per lo più maschi, poco istruiti e residenti nelle regioni del Nord. Le ragioni dell’antipatia dichiarata sono per il 22% motivi di natura storico-culturale, secondo cui l’ebraismo avrebbe mal influenzato la cultura cristiana; per il 38% prevale l’idea che gli ebrei siano più leali verso la propria comunità  che verso il proprio Paese. Numeri contenuti se pensiamo che, per la stessa ricerca, in un livello di simpatia da 0 a 10, gli ebrei si collocano al 7,07 superando altre “categorie” come cinesi, mussulmani, rumeni.

Esiste però un problema a monte. Si tratta della definizione di antisemitismo. Per evitare fraintendimenti bisognerebbe partire da qui. L’Europa nel 2005 si è data un documento operativo (in .pdf). Ecco alcuni punti salienti. Si cade nel razzismo nel: “ fare insinuazioni mendaci, disumanizzanti, demonizzanti o stereotipate degli ebrei in quanto tali o del potere degli ebrei come collettività  – ad esempio, specialmente ma non solo il mito del complotto mondiale ebraico o gli ebrei che controllano i mezzi d’informazione, l’economia, il governo o altre istituzioni all’interno di una società ; accusare gli ebrei in quanto popolo di essere responsabili di ingiustizie vere o immaginarie commesse da un singolo ebreo o da un gruppo di ebrei, o anche per azioni commesse da non ebrei; negare il fatto, l’estensione e i meccanismi (ad esempio le camere a gas) o l’intenzionalità  del genocidio del popolo ebraico per mano della Germania nazionalsocialista e dei suoi sostenitori e complici durante la Seconda Guerra Mondiale (l’Olocausto); accusare gli ebrei in quanto popolo, o Israele in quanto stato, di inventare o esagerare l’Olocausto”. Queste azioni vanno contro alcuni diritti umani di base come la responsabilità  individuale e contro la realtà  dei genocidi di massa.

Altri atteggiamenti antisemiti riguardano invece direttamente lo Stato di Israele quando si tende a “negare al popolo ebraico il proprio diritto all’autodeterminazione, cioè sostenere che l’esistenza dello Stato d’Israele è un atto di razzismo; adottare due misure diverse (a Israele) aspettandosi da esso un comportamento non atteso o richiesto a nessun’altra nazione; usare i simboli e le immagini associate all’antisemitismo classico (per esempio accuse di ebrei che uccidono Gesù o l’accusa del sangue) per caratterizzare Israele e gli israeliani; tracciare paragoni tra la presente politica d’Israele e quelle dei nazisti; ritenere gli ebrei collettivamente responsabili per le azioni dello Stato d’Israele”.

Questo è un terreno estremamente delicato perché intreccia una propaganda ideologica presente da ambo le parti in conflitto con un nefasto retaggio del passato. Non si può passare sotto silenzio l’inquietante propaganda del regime iraniano che vede nel presidente Ahmadinejad uno dei negatori della Shoà  più pericolosi al mondo.

Il linguaggio di chi sinceramente opera per la pace deve guardarsi dallo sfiorare anche minimamente certi territori limite: a volte si è sentito paragonare per davvero l’esercito israeliano alle SS e la polizia alla Gestapo nonché Gaza a un campo di concentramento, dando in questo modo una vittoria postuma a Hitler. D’altronde non sono mancati esponenti israeliani di spicco a cadere nel medesimo linguaggio anche se rovesciato proponendo l’equazione secondo cui chi critica lo Stato di Israele attacca gli ebrei in quanto tali ed è per forza antisemita.

Tra Scilla e Cariddi l’unica via percorribile è quella dell’informazione corretta, del mettersi dall’altra parte, del comprendere – anche senza condividere – le opinioni altrui, della ricerca delle fonti e di una verità  per quanto possibile oggettiva, di una strenua messa in luce delle situazioni positive. Il fascismo si combatte con la democrazia. E la democrazia vive della verità  ma anche del sogno e del possibile.


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