Carte di credito e assegni contro evasori e sommerso
Eppure l’Italia, ci dicono, ha un avanzo primario (entrate meno uscite, al netto degli interessi sul debito, che non vengono inclusi perché variabili), che nessuno dei Paesi del G7 può vantare. Quindi abbiamo un conto economico sano, eppure stiamo rischiando di fallire con conseguenze globali disastrose, perché? Perché gli investitori pensano che tale avanzo sparirà in presenza di una recessione (italiana, europea, mondiale). Il nodo è il rapporto debito/Pil, che per l’Italia è troppo elevato. Tant’è vero che la Gran Bretagna, con un deficit più che doppio rispetto al nostro, riesce a farsi prestare soldi ad un tasso di interesse che è meno di un terzo di quello che paghiamo noi, proprio perché la Gran Bretagna ha un rapporto debito/Pil che è circa la metà del nostro. Siamo dentro un circolo vizioso: più è alto il rapporto debito/Pil, più è necessario tagliare la spesa pubblica, più diventa più difficile evitare una recessione. In presenza di forti tagli alla spesa pubblica la crescita può derivare solo dal settore privato, in altre parole: o da maggiori investimenti, o da maggiori consumi dei cittadini, o da maggiori esportazioni.
In una situazione di incertezza economica mondiale è difficile pensare che senza particolari incentivi un imprenditore possa decidere di investire; è più probabile che decida di rendere più efficiente la propria azienda facendo dei tagli. E allora, di fronte alla mancanza di sicurezza del proprio posto di lavoro, le famiglie sono portate a ridurre le spese, piuttosto che incrementare i consumi. Pertanto è diventato drammaticamente urgente riportare il rapporto debito/Pil intorno al 100% (il livello superato il quale, secondo gli economisti, si entra in zona pericolo). Come abbiamo detto il debito è di 1.843 miliardi, il Pil circa 1.500. Immaginiamo quindi di dover predisporre un piano che riduca il debito di 350 miliardi.
Il fisco non basta
Aumentare il gettito Irpef non darebbe molto. Gli italiani sono 60 milioni (di cui solo il 38% lavora). Ogni italiano dovrebbe pagare 162 euro al mese per tre anni. Difficile pensare che sia possibile. Anche aumentare le tasse sui redditi servirebbe a poco. Coloro che dichiarano oltre 100.000 euro, sono lo 0,9% del totale, e sopra i 70.000 euro arriva appena il 2% degli italiani.
Ci sarebbe la strada della patrimoniale. Secondo i dati della Banca d’Italia, la ricchezza in edifici e terreni degli italiani (al netto di passività /relativi debiti) è pari a 8.600 miliardi. Una patrimoniale del 4% del valore produrrebbe quindi un’entrata di cassa straordinaria pari a 344 miliardi. Certo è che, con il valore medio dell’abitazione italiana pari a circa 160.000 euro, ogni famiglia che non ha debiti sulla casa si troverebbe a pagare, in media, almeno 6.400 euro. Ne segue la necessità di diluire nel tempo tale esborso, perché chi ha una casa non necessariamente ha un lavoro o liquidità a disposizione, e comunque sarebbe un ingiusto accanimento su una vasta fetta di popolazione che a fatica è riuscita a pagare l’ultima rata del mutuo. Inoltre questi provvedimenti avrebbero un impatto molto negativo sui consumi ed investimenti dei contribuenti che ne fossero colpiti.
Caccia al sommerso
La caccia ai grandi evasori è l’obiettivo numero uno, che deve però fare i conti con l’esistenza degli Stati canaglia, i tempi lunghi delle Procure e delle rogatorie, mentre noi di tempo ne abbiamo poco. Invece si sa che almeno il 20% del Pil è sommerso. Una legge che lo facesse emergere genererebbe entrate allo Stato e farebbe diminuire il nostro debito molto velocemente.
Pagamenti trasparenti
L’unico modo è la tracciabilità dei pagamenti. Ad oggi solo pagamenti superiori a 2.500 euro devono essere fatti mediante assegno, bonifico, carta di credito, o bancomat. Ben al di sopra della tipica fattura che un privato riceve da un professionista, un commerciante o un artigiano. Abbassare la soglia a 200 euro migliorerebbe un po’ la situazione, ma non troppo. Pensiamo al parrucchiere, al ristoratore, al falegname, al meccanico, al medico, al dentista, all’idraulico, all’estetista, ecc. Una larga parte del Pil. Quali categorie hanno assolutamente bisogno di contante? Lo spacciatore, il tangentista, il riciclatore. Tutte le attività criminali esistono solo grazie all’uso del contante, e non contribuiscono alla ricchezza dello Stato, ma generano un costo in termini sociali, di polizia, di burocrazia, ecc. Anche l’evasione fiscale e l’economia sommersa esistono solo grazie all’uso del contante. Se è vero che negli ultimi decenni si è cominciato a tassare di più quei beni e quelle attività che più costano alla collettività (pensiamo al tabacco, agli alcolici, all’ingresso dell’auto in città ), allora esiste anche un principio sulla base del quale si possa tassare chi utilizza il contante, in quanto fattore generante costi e ingiustizia sociale.
La tassa potrebbe essere applicata dalle banche in occasione di ogni prelievo e deposito. Tanto per dire, negli Stati Uniti si paga abitualmente il caffè da Starbucks con la carta di credito. Non solo, Starbucks si è attrezzato per accettare anche pagamenti mediante codici a barre che appaiano sul telefonino degli utenti che ne hanno richiesto il servizio.
D’altra parte, come si può pretendere che un consumatore, di fronte all’alternativa «120 euro con fattura/ricevuta, oppure 100 senza fattura» scelga di farsi fare la fattura? Se però al consumatore quei 100 euro «costassero» 150 a causa di una tassa sul contante … a quel punto preferirebbe chiedere la fattura e pagare 120 euro mediante assegno, bonifico, bancomat, ecc.. Se poi il consumatore potesse anche detrarre una percentuale di tali spese dalla propria dichiarazione dei redditi, lo farebbe ancora più volentieri. Anche dal lato degli operatori economici una tassa sul contante vanificherebbe il beneficio dell’evasione fiscale, poiché al momento del versamento in banca, si vedrebbero prelevare una cifra ben superiore a quella che avevano scontato al cliente. Quindi non converrebbe neanche a lui farsi pagare in nero. Certo, il contante si potrebbe sempre mettere in una valigetta e portare all’estero, ma a quel punto ricadiamo nelle norme sull’antiriciclaggio. Con un pagamento totalmente tracciabile nessun operatore economico sano di mente commetterebbe illeciti. Tra l’altro i regolamenti attuativi del trattato di Lisbona prevedono che l’uso del contante possa essere fortemente compresso «purché si rispetti il principio di proporzionalità ».
Meno commissioni
Ovviamente bisognerebbe prevedere che i ceti più penalizzati si ritrovino compensati con una minor tassazione. In poco tempo emergerebbe tutto il sommerso e il nostro Pil potrebbe aumentare del 20%, tranquillizzando gli operatori finanziari; anche perché le maggiori entrate fiscali andrebbero ad aumentare il nostro avanzo primario e magari si riuscirebbe ad attuare quella riforma fiscale di cui si parla da 20 anni. Consideriamo poi che un maggior utilizzo della moneta elettronica determina lo sviluppo di carte prepagate e quindi una crescita per l’economia. Riducendo la circolazione del contante, con ogni probabilità , sparirebbero anche i furti alle pompe di benzina, alle casse dei supermarket, ai portafogli. E’ chiaro che deve diminuire il costo delle transazioni in considerazione del maggior volume di pagamenti elettronici, come succede negli Stati Uniti.
Qualcuno potrebbe dire che questo meccanismo penalizza le fasce di popolazione meno giovane o meno prona alla tecnologia, ma se l’Italia salta sono proprio loro che ci rimetteranno di più. È peggio vedersi ridurre gli assegni familiari, affrontare un aumento del ticket sanitario, o imparare ad usare un bancomat o una carta di credito? Dobbiamo scegliere fra i mali quello minore. La tassazione del contante può sembrare una misura drastica o utopistica, ma ha il vantaggio di essere rapidamente applicabile e produrrebbe l’effetto di innescare un meccanismo virtuoso a vantaggio di tutti. Dodici anni fa la Tobin Tax, tassa sulla speculazione finanziaria, era qualcosa che non si poteva nemmeno nominare, oggi è sui tavoli di discussione. È evidente che non possiamo aspettare tutto questo tempo, anche perché non è mai successo che un Paese del G7 finisse sull’orlo del baratro e non mi risulta esistano modelli a cui riferirsi. In conclusione non intendo proporre soluzioni a prova di critica, ma solo lanciare una discussione su un argomento che approcciato con una mente libera potrebbe offrire un ulteriore strumento per evitare al Paese una brutta fine.
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