Coppie di fatto e conviventi è il “contratto” che fa paura

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Negli Stati Uniti il calo dei matrimoni è dovuto in larga misura alla perdita di forza sociale di questa istituzione. Essa non sembra più necessaria né per vivere insieme come coppia, né per avere figli. Non è neppure più un mezzo di collocazione sociale per le donne, sia perché la facilità  del divorzio indebolisce di molto questa funzione di garanzia, sia perché le donne stesse sempre meno derivano il proprio status sociale dal legame con il marito. Nonostante anche in quel paese la parità  tra uomini e donne non sia affatto raggiunta, da tempo la maggior parte delle donne ha imparato, per necessità  o per virtù, che è meglio contare sulle proprie forze e sulla propria collocazione nel mercato del lavoro.
Un tempo erano soprattutto le donne della minoranza nera a non sposarsi mai. Perché non avevano particolari vantaggi dall’essere sposate a uomini spesso resi socialmente deboli e vulnerabili dagli effetti diffusi del razzismo e della discriminazione. Oggi sono anche le donne bianche e di altre minoranze meno discriminate ad avere dubbi sui vantaggi del matrimonio rispetto ai costi di una persistente divisione del lavoro che continua ad affidare loro la maggior parte del lavoro familiare, per i figli, ma anche per i mariti. Tanto più che questi ultimi non sempre accettano una moglie davvero “pari” sul piano professionale e del prestigio sociale. Specie se hanno una buona istruzione e buone prospettive professionali, le donne possono valutare che il matrimonio impone prezzi troppo alti e asimmetrici. E che non ci siano abbastanza uomini per i quali valga la pena di correre il rischio. Simmetricamente, molti uomini possono non considerare appetibili come mogli donne che somigliano troppo a loro, per quanto riguarda l’investimento sul lavoro e la pretesa che le proprie priorità  vadano rispettate. Meglio convivere, o anche «vivere insieme stando separati, ciascuno a casa propria», viaggiando “leggeri” sul piano delle aspettative e obbligazioni reciproche. Anche se quando ci sono figli, tutta questa “leggerezza” può diventare improvvisamente pesante e svicolare dalle obbligazioni difficile, a prescindere dalla forma giuridica della relazione di coppia.
In Italia la diminuzione dei matrimoni non deriva tanto dall’indebolimento sociale dell’istituto del matrimonio, quanto dal ritardo con cui vi si entra. Non sono, infatti, aumentati significativamente i celibi e nubili “definitivi”. Piuttosto si è alzata l’età  al primo matrimonio. Ciò a sua volta dipende certo dal fenomeno tutto italiano del ritardo con cui i giovani escono dalla casa dei genitori, un ritardo oggi accentuato dalle difficoltà  che i giovani incontrano a collocarsi nel mercato del lavoro. Ma dipende anche dal diffondersi delle convivenze di fatto, sia come nuova tappa della vita di coppia, prima di sposarsi, sia come alternativa più o meno temporanea al matrimonio stesso. Fenomeno assolutamente marginale fino a un decennio fa, oggi l’esperienza di convivenza di fatto coinvolge una minoranza sostanziosa di coppie, particolarmente tra le più istruite e che vivono nel Centro-Nord. Questa concentrazione insieme geografica e di caratteristiche sociali suggerisce che anche in Italia le aspettative insieme di autonomia e di parità  delle giovani donne giocano un ruolo importante nel cercare forme alternative di rapporti di coppia, istituzionalmente più “leggere” e meno socialmente regolate del matrimonio: convivere prima di, o invece di, sposarsi come strumento di negoziazione delle aspettative e priorità  di ciascuno e reciproche. Tanto più che l’Italia è uno dei paesi in cui la divisione del lavoro in base al genere è più cristallizzata.


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