Egitto al voto, affondo degli islamici

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IL CAIRO — Al terzo piano di un orribile palazzone nel quartiere di El Manyal, c’è una piccola folla che aspetta anche ore prima di entrare per quattro-cinque minuti nell’ufficio di Mohamed Albetagy, segretario generale al Cairo del partito islamista Libertà  e giustizia, c’è gente che aspetta anche ore prima di entrare per quattro-cinque minuti di colloquio. Per il momento sono soprattutto funzionari e militanti della formazione nata per gemmazione dai «Fratelli musulmani» nell’aprile scorso. Ma nei prossimi giorni su questi stessi divanetti sdruciti potrebbero sedersi i principali leader delle forze politiche egiziane. Oggi e domani comincia il primo dei tre turni per l’elezione dell’Assemblea popolare (il ramo principale del Parlamento). Sono chiamati alle urne, tra gli altri, i cittadini del Cairo, di Alessandria, di Port Said. Vale a dire, sulla carta, la parte più sostanziosa dei circa 50 milioni di aventi diritto. I grandi favoriti sono loro, gli islamici: 30%? 40? Mercoledì sera (se davvero arriveranno i primi risultati come annunciato) si vedrà  fin dove potranno arrivare. Fin d’ora, però, è già  chiaro che il nuovo Egitto sta prendendo la direzione imboccata dalla Tunisia un mese fa e l’altro giorno dal Marocco. Naturalmente il contesto è diverso. Piazza Tahrir è sempre affollata da giovani che esigono il passaggio immediato di consegne dal Consiglio supremo delle Forze armate a un governo di civili. Il leader dei militari, il maresciallo Mohamed Hussein Tantawi, risponde con una serie di manovre politiche (e continuando a presidiare la piazza con i fucili spianati). Ieri ha rivisto i due candidati alle presidenziali più noti a livello internazionale: Mohamed Elbaradei, ex direttore generale dell’Aeia (l’Agenzia Onu per il controllo dell’energia nucleare) e Amr Moussa, già  leader della Lega araba. Il maresciallo ha chiesto a entrambi di entrare in un governo di unità  nazionale, senza specificare se a guidarlo dovrebbe essere Kamal Ganzouri, incaricato pochi giorni fa di formare un esecutivo di transizione, ma che sembra già  pedalare a vuoto.
I militari sono pressati su tre fronti. Dal popolo di Piazza Tahrir, certo, che ha annunciato manifestazioni anche per oggi e per domani (allerta sicurezza ai seggi). Dagli alleati internazionali: dopo gli Stati Uniti ieri è stata la Francia a chiedere al Maresciallo di lasciare il potere ai civili. E infine nel modo più sottile, ma forse più insidioso, dal partito di riferimento dei Fratelli musulmani. Sempre ieri il portavoce di Libertà  e giustizia ha fatto una considerazione che può sembrare ovvia: «Se vinciamo le elezioni, tocca a noi ricevere l’incarico di formare il governo». Il ragionamento si riferiva al momento in cui ci sarà  la seduta d’apertura dell’Assemblea popolare, cioè al lontano 17 marzo 2012. Ma il segretario del Cairo, Albetagy, dopo aver circumnavigato i continenti del generico e dell’ovvio, lascia cadere un paio di concetti sorprendentemente chiari. Primo: «Il governo del Paese deve essere affidato a chi ha la fiducia del popolo egiziano. Di tutto il popolo egiziano, non solo di Piazza Tahrir». Secondo: «Noi pensiamo che i militari debbano tornare al loro compito fondamentale di difesa dei confini». Come dire: se domani vinciamo, vogliamo contare di più e subito. Questo spiegherebbe il tumultuoso dinamismo di Tantawi e le giravolte di Elbaradei che, nel giro di una settimana, è passato dal «con i militari non ci parlo» al «sacrificio»: ora è pronto a rinunciare alle presidenziali (al più tardi giugno 2012) se incaricato di formare un governo con pieni poteri. Fino a ieri la giunta militare si era appoggiata ai Fratelli musulmani per tenere ferma la data delle elezioni. Ora ha l’esigenza di bilanciare aprendo ai laici.
Sullo sfondo delle trame di vertice, la società  si presenta alle urne più povera e più divisa. Il Cairo è ancora percorso da forti tensioni e inquietudini. Per fortuna, con qualche lampo di normalità : ieri sera la Procura ha riconosciuto l’assurdità  delle accuse (atti vandalici) mosse ai tre free-lance italiani (tra i quali Andrea De Georgio) e ne ha disposto il rilascio per insufficienza di prove.


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