Elezioni in Spagna con il rebus indignados “Meglio non votare”

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MADRID – I ribelli indignati che alla vigilia delle amministrative dello scorso maggio seminarono il panico nei palazzi della politica sono tornati alla Puerta del Sol, la grande piazza ovale nel centro della capitale spagnola. Ma ieri, alla vigilia di un altro appuntamento elettorale, le elezioni politiche, erano veramente pochi.

Cinquecento al massimo. Il movimento degli “indignados” (la maggior parte giovani sotto i trent’anni disoccupati o con lavori molto precari e mal retribuiti) non è scomparso, piuttosto s’è diluito in realtà  minori: scuole, università , quartieri, dove nei giorni scorsi si sono svolte manifestazioni contro i tagli all’istruzione.

L’assemblearismo di maggio, per ora, si è trasformato in proteste più puntuali e meno visibili. La parola d’ordine oggi è l’astensione o il voto ai partiti minori contro l’odiato bipolarismo rappresentato da Psoe e Pp, i due partiti-balena di centrodestra e centrosinistra, che dagli anni Ottanta si alternano al potere. «Annulliamo le schede con le fette di prosciutto» è l’idea provocatoria di alcuni per rappresentare l’accusa che i giovani “indignados” spagnoli rivolgono ai due maggiori partiti: essere delle macchine di corruzione e prebende e non buoni amministratori del bene pubblico.

L’onda di terremoto che stasera cambierà  la Spagna sembra però essere un’altra. Molto simile a quella delle elezioni amministrative del 22 maggio scorso quando regioni e comuni a guida socialista passarono ai candidati del centrodestra. La crisi economica e la sua incerta ed erratica gestione da parte del governo socialista di Zapatero ha causato, insieme alla rivolta degli indignados, un malessere così diffuso che staserai socialisti rischiano di perdere – secondo i sondaggi – oltre tre milioni di voti ed ottenere uno dei peggiori risultati della loro storia politica dalla fine del regime di Francisco Franco, il dittatore morto proprio un 20 novembre di 36 anni fa. Una data storica per la nuova Spagna che coincide con il ritorno della monarchia e l’avvio della transizione verso la democrazia. E che sembrava scelta dal governo socialista, costretto ad anticipare le politiche dopo il disastro delle amministrative, con la speranza di serrare le fila degli elettori progressisti. Effetto mancato se, come sembra ormai inevitabile, il candidato dei Popolari, Mariano Rajoy, otterrà  una vittoria senza appello e la maggioranza assoluta dei seggi (176) in Parlamento. La settimana sì è chiusa con i mercati in fibrillazione per la crisi del debito che sembra destinata a durare ben oltre il passaggio delle consegne e che costringerà  Rajoy a presentare un’ampia e dura manovra di tagli alle spese.


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