Enria: «Ora servono banche più forti

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LONDRA — L’attenzione della politica si concentra sempre di più sui debiti sovrani. Nel frattempo, una seconda linea di faglia minaccia danni altrettanto seri al tessuto dell’economia. La crisi ha messo a nudo come gli Stati sovrani e le banche siano legati in un rapporto che spinge le due parti a sostenersi o ad affondarsi a vicenda. Ma ciò che emergerà  nel 2012 è che moltissimi istituti europei, proprio come certi governi, rischiano di non trovare finanziamenti sul mercato.
Dal suo piccolo ufficio al 18esimo piano della Tower 42, nel cuore della City di Londra, Andrea Enria conosce le cifre a memoria. Il presidente della European Banking Authority, arrivato a Londra dalla Banca d’Italia, ha studiato con attenzione il rapporto di Deutsche Bank che presenta i conti: le banche europee nel 2012 avranno debiti da rifinanziare per più di 800 miliardi di euro. Quelli dei soli istituti italiani potrebbero essere di circa cento miliardi, vista la taglia dell’economia, anche se resta il punto di forza del risparmio agli sportelli. E nei primi tre mesi dell’anno prossimo, su scala europea c’è la necessità  di una raccolta di fondi per il settore bancario per quasi trecento miliardi. È una strettoia verso la quale l’Europa sta entrando in una fase in cui i mercati per la raccolta di fatto sono chiusi. Per gli istituti finanziarsi sul mercato è difficilissimo. La Bce offre un rimedio solo parziale, perché le sue aste di liquidità  illimitata non vanno oltre un anno di scadenza. Nessuna banca fallirà  come Lehman, ma così la vita media dei debiti degli istituti si accorcia sempre di più, quindi questi ultimi prestano sempre meno denaro a medio-lungo termine alle imprese. Qualcuno potrebbe entrare in fibrillazione per questo. Ma l’Eba, l’authority accusata in Italia e Spagna di difendere gli interessi di Francia e Germania, è un posto silenzioso. Con sessanta funzionari, occupa un piano e mezzo di un grattacielo nello «Square Mile» della City. Ben dopo l’ora di cena i suoi uffici in open space, pareti di cristallo sulle luci di Londra, restano affollati di economisti dall’aria esausta.
Enria è appena tornato in treno da Bruxelles, e conosce le accuse: l’Eba entro giugno ha chiesto aumenti di capitale molto forti alle banche italiane (14,7 miliardi) e spagnole (26), ma ha presentato richieste più blande alle concorrenti franco-tedesche. Il banchiere centrale italiano preferisce stare ai fatti: «Non stiamo chiedendo alle banche di ricapitalizzarsi così per caso. A noi non piace imporre nuovi requisiti», dice a proposito della richiesta di portare il Core Tier 1, il capitale di base delle banche, al 9% entro giugno prossimo. E continua: «Sarebbe stato meglio poterlo evitare. Ma è lo stesso Jean-Claude Trichet che ha detto che il rischio sistemico è molto elevato».
Un’occhiata al giudizio degli investitori sulle banche italiane non sembra contraddire Enria. In base ai costi dei derivati di assicurazione dal fallimento, le prime cinque banche italiane sono percepite come le più vulnerabili sul mercato dopo Dexia (salvata a ottobre da Francia e Belgio). L’Italia soffre della caduta del valore dei buoni del Tesoro, che sono sul bilancio di Intesa Sanpaolo per circa 50 miliardi e su quello di Unicredit per circa 40. In realtà , in molti casi quei titoli oggi hanno già  valori inferiori a quelli del 30 settembre a cui l’Europa ha imposto di contabilizzarli.
Ma il problema non è di un solo Paese: il mercato è chiuso per tutti. Dall’estate sono riuscite a fare due emissioni di bond non garantiti solo Deutsche Bank e l’olandese Rabobank. Un’emissione garantita di Unicredit ha pagato un interesse quasi tre volte sopra a quello del bond senza garanzie di Deutsche: in questo l’unione monetaria (almeno per ora) non esiste più, ogni economia vive a tassi d’interesse diversi. E le banche soffrono in Borsa ognuna da sola, senza un sistema europeo di garanzia sul finanziamento. Enria cerca di restare realista: «La caduta dei titoli bancari da agosto non riflette i dubbi del mercato sui modelli di business — osserva —. Piuttosto, è legata all’esposizione al debito pubblico e ai dubbi sulla capacità  delle banche di finanziarsi nel prossimo periodo». Di qui la richiesta dell’Eba agli istituti di ricapitalizzare per 106 miliardi. Il problema è che molte banche hanno iniziato a difendersi negando il credito e vendendo attività , esattamente ciò che serve a frenare l’economia e far crollare il valore dei titoli di Stato. In vista di un 2012 difficile, molti istituti europei sono già  in trincea. Di questo passo il rischio è che nel 2012 non circoli più un soldo per le imprese. Enria lo sa e osserva: «Le difficoltà  sul mercato della raccolta stanno già  generando un processo di contrazione degli attivi bancari». Meglio dunque aumenti di capitale veri, anche se costosi: «Favorire l’aumento del patrimonio delle banche — raccomanda — piuttosto che procedere a un deleveraging disordinato, è l’unico modo di assicurare il supporto finanziario all’economia».


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