Il caso Letta-Amato il calice impotabile per il leader Bersani

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Così dovrebbe andare a finire: niente politici nella lista dei ministri che oggi Mario Monti presenterà  al Quirinale. Ma il condizionale è d’obbligo. C’è una notte di trattative di mezzo.
Sul nome di Gianni Letta, il consigliori di Berlusconi che il Pdl vuole vicepremier o alla giustizia, guarda un po’, ieri si consuma un thriller. Inizia di mattino, all’uscita della consultazione fra il premier incaricato e i vertici Pd. Bersani dice: pieno sostegno «a un governo di autorevole e forte caratura tecnica» senza condizioni, né limiti di tempo. In realtà  una condizione c’è: dev’essere un governo tecnico. «Non per sostenere meno ma per sostenere meglio». «Meglio» significa per evitare la rivolta dell’elettore contro il governo inciucista Pd-Pdl. «Meglio» significa che «zero berlusconiani» è l’unico vero paletto che l’Idv pone per il sì. Bersani fa la voce grossa con Di Pietro e Vendola. Ma se i due alleati rompessero con Monti, da dentro e fuori il parlamento, per il Pd sarebbero guai.
«Meglio» significa, fra l’altro, che se ci fossero i ministri anche i nomi dei politici, si scatenerebbe, la bagarre cencelliana sulle poltrone. In competizione con il Pdl, ma anche fra le correnti Pd. Meglio, molto meglio, insomma, evitare politici direttamente impegnati nell’esecutivo. Per i sottosegretari si tenterà , stavolta sì Cencelli alla mano, di trovare «figure di raccordo con il parlamento», come dice Anna Finocchiaro, ma non parlamentari.
Poco dopo le parole di Bersani, però, un’agenzia di stampa riferisce il via libera all’ingresso di Letta e Amato nel governo da parte del Pd. L’Idv alza subito i decibel. Leoluca Orlando e Massimo Donadi avvertono: invotabile, «sarebbe la continuazione del berlusconismo». Parte la smentita Pd, ed è una smentita «nel modo più netto».
Nel frattempo nel salottino di Palazzo Giustiniani è entrata la delegazione Pdl, Angelino Alfano in testa. Che chiede Gianni Letta al governo. «Fossi in Monti non mi priverei di una persona con il senso delle istituzioni, la serietà  e la conoscenza dei problemi come Letta», ‘consiglierà ‘ più tardi. È una provocazione, e funziona. Il quadro si complica quando persino da Roberto Maroni, l’aspirante leader della Lega ormai ridotto al silenzio dal Senatùr, batte e un colpo e dice che persino per la Lega la presenza di Letta nel governo «sarebbe una buona notizia».
A Monti, che pure sa che non si può fare, l’idea di un navigatore esperto che lo aiuti sul fianco destro del parlamento non dispiace affatto. Ma siccome procede per condizioni bipartisan, dall’altra parte il professore vorrebbe avere Giuliano Amato, il presidente della Treccani – la nomina l’ha fatta al Colle – e presidente dei consiglieri di ItalianiEuropei – e in quest’altro caso la nomina l’ha fatta Massimo D’Alema. Amato ha la stima personale di Monti e il gradimento di Giorgio Napolitano, che di questi tempi è una specie di ticket open per qualsiasi destinazione.
Ma il Pd non ci sta. E non ci può stare. Intanto perché, spiegano al Nazareno «quello di Amato non è un nome che abbiamo fatto noi», argomentazione già  piuttosto impegnativa. E poi perché in cambio di Amato il Pdl pretenderebbe un nome berlusconiano, per rendere costringere il Pd a votare un governo invotabile, se non a prezzo di sconquassi alla base e rotture nel gruppo dirigente. Si torna alla casella di partenza. All’ora di pranzo Bersani sale al Colle. Per una volta è solo, senza vice né giannizzeri.
«C’è qualcuno che tenta di far saltare il banco», dicono intanto dal Nazareno, «è solo l’ultimo colpo di coda di chi non si arrende al fatto che il governo tecnico si farà . Perché chi dovesse dire di no, si assumerebbe una responsabilità  talmente grande che non se la può assumere». Il Pd non pone condizioni, ma comunque chiede «equità , discontinuità  e avvicinamento dell’Italia verso l’Europa dei diritti». Insomma, il Pd chiede – ma stavolta a Napolitano, non più solo a Monti – garanzie ‘a sinistra’, per capirsi, tant’è che fa sapere che a al professore ha chiesto, fra le riforme – fisco, legge elettorale in parlamento – anche un gesto simbolico ma anche molto concreto: una legge sullo jus soli cittadinanza per i nuovi italiani. Singolare coincidenza, e consonanza. Guarda caso, il presidente della Repubblica proprio ieri doveva partecipare a una cerimonia con i ‘nuovi italiani’ durante la quale ha chiesto più comprensione per «i bambini nati in Italia che fino ai 18 anni che si trovano privi della cittadinanza di un paese al quale ritengono di appartenere».
Ma il Pdl forza lo stesso e tenta di mettere nell’angolo il Pd, per farlo apparire come il partito «che ha generato l’empasse», come dicono da via dell’Umiltà , quartier generale Pdl. Alfano cannoneggia, da un’apposita presentazione dell’ultimo libro di Bruno Vespa: «Noi su Amato non abbiamo nessuna obiezione». Ma lì c’è anche Rosy Bindi, che cade in una trappola: su Letta «il Pd non ha posto pregiudiziali né veti. Non saremo noi a impedire la formazione del governo Monti». Allora lo accettano? No, corregge: «Non è un veto sulla persona di Letta, ma abbiamo chiesto discontinuità , vale anche per i nomi». A questo punto è Casini che interviene a gamba tesa contro la «posizione gravemente irrispettosa» di Bindi verso Letta. E Bindi, via via pasticciando: «Ma è lui che ha fatto un passo indietro».
Conclusione: il governo Monti non è ancora nato ma il Pd già  si ritrova in minoranza. Perché è noto che il Terzo Polo, Casini in testa non solo vorrebbe Letta nel governo Monti, ma già  nei mesi precedenti era pronto a sostenere un governo Letta. E nel pomeriggio Letta si è visto proprio con Casini e con Fini alla Camera. I tre concordano sulla proposta di Letta vicepremer. A notte l’ipotesi Letta appare seppellita. Ma Monti inisiste su Amato, e quindi cerca ancora un nome di area berlusconiana potabile per il Pd. Ma non ce n’è. Anche se il Pd quest’amaro calice non può berlo, anche volendo. «Impotabile», come dice Bersani.


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