Il nucleare divide l’India

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nsieme a loro due note organizzazioni della società  civile in India, Common Cause e il Centre for Public Interest Litigation (ong che fornisce aiuto legale a cause collettive per «pubblico interesse»): la scorsa settimana hanno presentato una petizione alla Corte Suprema indiana in cui chiedono «una revisione della sicurezza di tutti gli impianti nucleari in India» e una «analisi completa a lungo termine dei costi e benefici» dell’energia atomica. Chiedono che in attesa dei risultati di tali indagini siano sospesi tutti i progetti di nuovi impianti nucleari, in nome del comune diritto a un ambiente pulito, alla salute e a una vita sicura.
I proponenti della causa sperano di aprire un dibattito pubblico sullo sviluppo dell’energia nucleare in India – paese che oggi ha 6 centrali elettronucleari in funzione e due in progetto, e dove l’industria nucleare ha una lunga storia: il primo centro di ricerca atomica fu fondato nel ’57, i primi progetti di centrali elettronucleari sono della metà  degli anni ’60, e sono stati intesi come un tassello importante della ricerca di autosufficenza energetica del paese (parallelo è proseguito un programma segreto di ricerca militare, che ha portato a un primo test atomico nel 1975 e un secondo nel ’98, quando l’India è diventata una potenza nucleare dichiarata, subito seguita dal Pakistan – nessuno dei due paesi firma il Trattato di non proliferazione nucleare del 1970).
La petizione alla Corte suprema arriva mentre si intensifica un movimento popolare di opposizione alle due centrali oggi in progetto: a Jaitapur, sulla costa occidentale a sud di Mumbai, dove il governo vuole installare un reattore Epr della francese Areva; e a Koodankulam, vicino a Kanyakumari (Capo Comorin), sulla punta più meridionale dell’India, dove un impianto è in fase di costruzione avanzata e per fine anno dovrebbe cominciare l’installazione di due reattori russi, 1.000 MW ciascuno (di recente le potenze occidentali hanno tolto il bando sulla vendita di tecnologie nucleari all’India, dopo che questa ha firmato un trattato di cooperazione atomica con gli Usa).
Da agosto contro l’impianto di Koodankulam si sono susseguiti 5 round di sit-in con scioperi della fame a cui hanno partecipato migliaia di persone. Il governo ha risposto: il 7 ottobre il primo ministro indiano Manmohan Singh ha ricevuto a New Delhi una delegazione del «Anti-Nuclear People Movement in Kanyakumari». La delegazione ha poi riferito che il segretario generale del Dipartimento all’energia atomica (l’ente nucleare dello stato), Srikumar Banerjee, gli ha fatto una lezione sui vantaggi dell’energia nucleare, mentre il primo ministro ha parlato di sicurezza energetica e di autosufficenza. Come fossimo persone inconsapevoli, dicevano i delegati. «Il governo presume che l’opposizione popolare sia fondata sull’ignoranza», commenta il giornalista e scrittore Praful Bidwai, partecipe di molte campagne antinucleari in India: eppure tra i leader del Comitato popolare di Kanyakumari ci sono persone istruite e informate, avvocati, professori universitari, un vescovo: chiedevano di avviare una revisione indipendente dei dati economici e di sicurezza dei reattori che l’India vuole importare. Il governo ha risposto lanciando una campagna pubblica, con esperti del Dipartimento all’energia atomica mandati a “educare” i cittadini. E però sulla stampa, soprattutto locale, il dibattito è aperto – con scienziati critici, enti locali allarmati, perfino un ex dirigente del Dipartimento all’energia atomica che diffida degli interessi commerciali di America, Francia e Russia…


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