La correzione di rotta necessaria all’Unione

by Sergio Segio | 6 Novembre 2011 7:42

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 Poco – in apparenza – è successo al G20 di Cannes, il 3-4 novembre, se non un lento, progressivo spostamento degli equilibri: la Germania sempre rigida, ma d’accordo a estendere gli interventi di salvataggio; la Cina sempre cauta, ma disponibile a un ruolo maggiore; gli Stati uniti sempre più ai margini della scena; la Grecia in un’emergenza caotica; l’Italia screditata, al centro della speculazione e ora messa sotto tutela da Commissione europea e Fondo monetario. Di fronte alla crisi europea, governi e autorità  di Bruxelles seguono ancora la via dei piccoli passi, sempre in ritardo di fronte alla rapidità  con cui la finanza attacca volta a volta debito pubblico e listini di Borsa.

La politica europea non ha dato alcuna risposta all’altezza della crisi. Non ci sono state risposte alle domande che Rossana Rossana ha posto aprendo nel luglio scorso la discussione sulla “rotta d’Europa” lanciata dal manifesto e Sbilanciamoci.info e ripresa da OpenDemocracy: dove si è sbagliato nella costruzione europea? E come si rimedia? A conclusione di quel dibattito, possiamo valutare che cosa è cambiato nell’economia e nella politica, e quali strade abbiamo davanti.
Rispetto al luglio scorso, la crisi finanziaria si è aggravata. Gli indici di borsa hanno perso oltre il 10% del valore, più in Europa che negli Usa. I tassi d’interesse sul debito pubblico sono ora dell’1,88% in Germania, del 6,23% in Italia, del 30,88% in Grecia, con lo spread (la differenza rispetto ai titoli tedeschi) triplicato in pochi mesi. Si è aggravata la recessione: l’indice Ocse dell’andamento economico è sotto il livello di un anno fa nell’area euro (-3,4%), con un pessimo dato in Italia (-5,5%), ma cattivo anche in Germania (-4,1%). Naturalmente la disoccupazione è a livelli record e in Italia è ripartita anche l’inflazione (ora al 3,4%) (…).
Anche nel precipitare della crisi, non vengono scalfiti i due pilastri della costruzione europea degli ultimi vent’anni: finanza e neoliberismo. Anzi, vengono riproposti in dosi ancora maggiori – salvataggi delle banche, privatizzazioni, tagli alla spesa pubblica – come soluzioni della crisi attuale. Le élite politiche ed economiche restano ferme ai dogmi del passato e stanno portando l’Europa dritta alla depressione.
Le vie del cambiamento
Ma qualche altra cosa è successa, da luglio a questa parte. È il ritorno sulla scena della “seconda superpotenza mondiale” – i movimenti dal basso che il 15 ottobre 2011 hanno manifestato in 950 città  di 80 paesi del mondo. Sono loro la voce che non si sentiva l’estate scorsa, e che può creare le condizioni per un cambiamento. Ma quale cambiamento? Con quali strumenti e quali vie per realizzarlo?
Il cambiamento più grande è il ritorno della politica, con istituzioni e soggetti pubblici – in Europa e negli stati – all’altezza dell’economia globale, capaci di intervenire e condizionare l’azione delle imprese, della finanza e dei mercati. Questa nuova politica deve restituire ai cittadini il potere di decidere sul proprio futuro, deve essere al servizio degli obiettivi decisi dai cittadini. Ridimensionare la finanza, riprendere il controllo dell’economia, praticare la democrazia sono i tre obiettivi di fondo – i nuovi pilastri su cui ricostruire l’Europa. E sono i temi delle proposte emerse nei 50 interventi alla discussione sulla “rotta d’Europa”.
Finanza da legare
Ridimensionare la finanza. La finanza dev’essere messa nelle condizioni di non devastare più l’economia. Le transazioni finanziarie devono essere tassate, devono essere ridotti gli squilibri prodotti dai movimenti di capitale, eliminati i paradisi fiscali, serve il ritorno alla divisione tra banche d’affari e commerciali, una regolamentazione più stretta contro le attività  più speculative e rischiose, si deve creare un’agenzia di rating pubblica europea.
Di fronte all’aggravarsi della crisi del debito pubblico, la prima richiesta è all’Europa: il debito pubblico dei paesi che adottano l’euro dev’essere garantito collettivamente dall’eurozona. Se l’Europa non agisce in questa direzione, si deve proporre la ristrutturazione del debito dei paesi in crisi, con il taglio di quello nelle mani delle banche private e con il ricorso a eurobond che alleggeriscano il debito degli stati. Sulla base dell’esperienza dei paesi del Terzo mondo, la situazione del debito – chi lo detiene, a quali condizioni – dev’essere oggetto di una Commissione d’inchiesta composta da esponenti della politica, dell’economia e della società  civile che faccia un’audit pubblica del debito, mettendolo al centro di consultazioni e deliberazioni che coinvolgano i cittadini.
All’interno dell’Europa, i paesi in crisi devono creare un Vertice dei debitori che negozi collettivamente con banche private, Bruxelles e Fmi il piano di aggiustamento, e faccia da contrappeso allo strapotere dell’asse Merkel-Sarkozy nelle decisioni dell’Unione. Creditori e debitori sono i due lati della stesso problema e non si può consentire che si ripeta in Europa il modello usato per il debito del Terzo mondo, con il Club di Parigi, il cartello dei creditori occidentali, che affrontava compatto i singoli paesi poveri, imponendo i piani di aggiustamento strutturale del Fondo monetario. (…)
Se anche questa strada non venisse presa, l’insolvenza di alcuni paesi potrebbe trascinare a fondo l’Unione monetaria e l’euro, con un drammatico scenario di frammentazione dell’Europa, depressione dell’economia e disordine della politica.
L’economia da controllare
Controllare l’economia. L’economia dev’essere messa nelle condizioni di non devastare più la società . Con la semplificazione delle manifestazioni contro Wall street, si può dire che il 99% dei cittadini – le vittime della crisi – deve togliere il controllo dell’economia all’1% che decide per tutti. Con un po’ più di precisione, si può dire che il 90% degli europei sta peggio di dieci anni fa e che il 10% più ricco ha incamerato tutti i benefici della crescita. In molti paesi europei e negli Stati uniti le disuguaglianze sono tornate ai livelli degli anni trenta; ora una grande redistribuzione dev’essere messa in agenda, cambiando i destinatari delle politiche di austerità , tutelando il lavoro e i salari, difendendo il welfare.
In campo fiscale occorre spostare il carico fiscale dal lavoro alla ricchezza – con una tassazione regolare dei patrimoni e, in caso di emergenza, con un’imposizione straordinaria. Ci si deve spostare verso la tassazione delle risorse non rinnovabili e dei combustibili fossili (a partire dalla carbon tax), per favorire sistemi produttivi più efficienti e sostenibili. In Europa si deve armonizzare la tassazione e trovare nuove entrate che finanzino la spesa a livello europeo. La spesa pubblica – a livello nazionale e europeo – dev’essere utilizzata per rilanciare la domanda, difendere il welfare, estendere le attività  e i servizi pubblici. Una parte della spesa europea può essere finanziata da eurobond, che devono essere introdotti non solo per ristrutturare il debito, ma per finanziare la riconversione ecologica dell’economia europea, con investimenti capaci di creare occupazione e tutelare l’ambiente.
Le decisioni su che cosa si produce, come e per chi, non devono essere lasciate al “mercato”, cioè alle grandi imprese multinazionali, ma vanno indirizzate da politiche industriali e dell’innovazione – europee e nazionali – che puntino alla convergenza tra le capacità  produttive dei paesi europei, a produzioni sostenibili, efficienti e con maggiori competenze dei lavoratori.
I diritti del lavoro e il welfare sono elementi costitutivi dell’Europa. Dopo decenni di politiche che hanno creato disoccupazione, precarietà  e impoverimento, serve mettere al primo posto la creazione di un’occupazione stabile, di qualità , con salari più alti e la tutela dei redditi più bassi.(…)
La democrazia da praticare
Praticare la democrazia. L’Unione europea è nata con un deficit di democrazia che è diventato drammatico nella crisi attuale. Con l’erosione delle sovranità  nazionali, le forme della democrazia rappresentativa, attraverso partiti e governi nazionali, sono sempre meno capaci di dare risposte ai problemi. A livello europeo, la crisi toglie legittimità  alle burocrazie – Commissione e Banca centrale – che esercitano poteri senza risponderne ai cittadini, mentre il Parlamento europeo non ha ancora un ruolo adeguato. In questi decenni la società  civile europea ha sviluppato movimenti sociali e pratiche di democrazia partecipativa e deliberativa – dalle mobilitazioni dei Forum sociali alle proteste degli indignados – che hanno dato ai cittadini la possibilità  di essere protagonisti.
Queste esperienze hanno bisogno di una risposta istituzionale. Occorre superare il divario tra i cambiamenti economici e sociali di oggi e gli assetti istituzionali e politici che sono fermi a un’epoca passata. È il momento di trovare forme più dirette di espressione e di decisione democratica, costruendo sull’esperienza dei referendum in Italia contro la privatizzazione dell’acqua e l’energia nucleare. È forse il momento di promuovere un nuovo Forum sociale europeo in cui i movimenti che sono stati protagonisti della protesta e le reti europee portatrici di alternative possano incontrarsi, mettere a punto le proprie proposte, costruire la nuova politica europea. Si può pensare a un confronto al Parlamento europeo con le istituzioni dell’Unione e le forze politiche europee, proporre una nuova “costituente” che dia voce alla società  civile e disegni l’Europa da cambiare.
A una giornata di discussione in tutta Europa che occupi le piazze, le televisioni e il web per coinvolgere tutti in una discussione sul nostro futuro. A una serie di azioni dirette e di comportamenti individuali diversi: il 5 novembre era il Bank transfer day, un giorno per spostare il proprio conto corrente dalle banche che sono protagoniste della speculazione finanziaria a quelle un po’ meno tossiche per l’economia.
Questa nuova ondata di partecipazione deve durare nel tempo, costruire alleanze sociali – con sindacati, precari, soggetti economici aperti al cambiamento – e creare le condizioni per la nuova politica, capace di dare voce e protagonismo a quel “99%” dei senza-potere. È questa la correzione di rotta che serve all’Europa, se non vuole naufragare. E al timone, questa volta, non potrà  più esserci una classe dirigente – politica ed economica – che ha sbagliato quasi tutto.
La versione integrale dell’articolo è su ilmanifesto.it e sbilanciamoci.info. Tutti gli articoli sulla “rotta d’Europa” sono disponibili sui due siti.

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