La grande trattativa e il «no» di Bersani

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ROMA — «L’avevo detto più volte a Della Valle e Montezemolo», e l’ha detto anche a Monti appena l’ha incontrato nei panni di presidente del Consiglio incaricato. Così racconta Berlusconi, «gli ho detto di averlo pensato al mio posto e mi è venuto male. Chi pensa che al governo si possa operare come in una azienda, si sbaglia: provare per credere». E l’ex commissario europeo lo sta provando, forgiato dalla trattativa sulla compagine ministeriale che per una volta non è (solo) una questione di nomi ma un nodo politico. Un nodo che alla vigilia della presentazione della lista al Quirinale non è stato sciolto, perché la presenza o meno di Gianni Letta oltre che di Amato nell’esecutivo, produrrebbe scenari e reazioni diverse negli schieramenti.
Ecco il motivo delle frenetiche consultazioni tra esponenti del Pdl, del Pd e del Terzo polo, l’incontro al Quirinale tra il capo dello Stato e Bersani: un faccia a faccia difficile, nel corso del quale il leader dei Democratici ha spiegato a Napolitano quali sono le colonne d’Ercole oltre le quali non può portare il suo partito. Il Cavaliere è a parte delle trattative, se spiega che «il capo dello Stato e il premier incaricato sono favorevoli alla presenza di Gianni Letta nel governo. E non è vero che Bersani è contrario. Il problema glielo pongono una parte del Pd e Di Pietro». Perciò il leader dei Democratici — dopo averlo detto a Monti — ha ribadito i termini della questione a Napolitano.
A parte il fatto che il Pd «non reggerebbe un segno di continuità  con il governo Berlusconi», e che l’Idv «con Letta nell’esecutivo non appoggerebbe più Monti», Bersani contesta il fatto che «Amato sia considerato uno dei nostri». E non può ricercare un alter ego di Gianni Letta nel partito, per evitare uno scontro interno. La preoccupazione maggiore è la collocazione dell’ormai ex sottosegretario, dato che la delegazione del Pdl è stata chiara con Monti alle consultazioni: «È necessaria la pari dignità  tra Amato e Letta». E se il primo va agli Esteri…
L’incubo di Bersani è che il braccio destro di Berlusconi possa finire alla Giustizia. E comunque teme che Monti si possa avvalere dei poteri garantitigli dalla Costituzione, inserendo Letta nella lista dei ministri, e costringendo così il Pd a subire la decisione, visto che — per usare le parole della Bindi — «noi non poniamo condizioni o veti».
Se è vero che il caso ha imposto un rallentamento dei tempi alla nascita del governo, il professore bocconiano non è parso scomporsi. Anzi, al termine delle consultazioni ha fatto un elogio dei suoi neocolleghi: «Ah, le fatiche della politica», ha esclamato. E in quel commento c’era tutta la comprensione di chi vedeva per la prima volta in presa diretta il lavoro di macchina dietro le quinte. Aveva già  avuto modo di dire che «per il bene del governo» è favorevole alla presenza di Letta e Amato nel suo gabinetto: «Amato è una mia proposta, quanto a Letta è un amico».
Il vertice del pomeriggio tra esponenti del Pdl e del Terzo polo, terminava però con una fumata nera. Bersani, furibondo, non aveva voluto prendervi parte ma per telefono aveva ribadito la propria contrarietà , offrendo così una sponda a quanti — negli altri partiti — avevano interesse a sfruttare il veto. Tutto fatto, quindi? Niente affatto. Perché a tarda sera il nodo politico non era stato ancora sciolto, e i nomi di Letta e Amato comparivano e scomparivano sulla lista dei ministri, dove per ogni dicastero ci sono ancora adesso due opzioni: «Tutte personalità  di alto profilo — secondo il Cavaliere — che incontrano il nostro consenso».
È chiaro che a Berlusconi interessi Letta «e spero che alla fine faccia parte del governo. La questione è ancora aperta, ma credo che Gianni sarebbe di grande aiuto a Monti, come lo stesso Amato. Hanno una caratura, un’esperienza che sarebbe opportuna. La loro presenza rafforzerebbe il nuovo esecutivo per la capacità  che hanno di comprendere la politica». Perché «Monti può fare bene», ma sia il futuro premier che i tecnici che faranno parte del governo avrebbero bisogno — secondo il Cavaliere — di una guida: «Se ne accorgeranno. Piombano in un mondo che non conoscono». Ecco il motivo per cui «Letta e anche Amato» sarebbero loro d’aiuto. Chissà  se l’endorsement di Berlusconi porterà  bene ai due, ma «entrambi — dice — sarebbero utili a Monti. Eppoi Gianni è davvero un uomo delle istituzioni, più di quanto non lo sia Giuliano: non è mai stato eletto né iscritto a partiti, ed è soprattutto un uomo di unione».
Il Cavaliere di lotta e di elezioni sembra scomparso per lasciare posto al Cavaliere di governo, anzi di governissimo: «Auguro a Monti di riuscire nel suo compito. La difficile giornata sui mercati ha dimostrato che non ero io il problema, anche se con le mie dimissioni sono convinto di aver fatto la scelta giusta. Non oso pensare cosa avrebbero detto se ci fossi stato ancora io a Palazzo Chigi, cosa sarebbe successe nel Paese, quali pressioni ci sarebbero state su di me e sul mio partito». Smessi i panni del presidente del Consiglio, sembra voler indossare quelli del consigliere del «presidente Monti, un mio amico, una persona intelligentissima e stimatissima». Sembra, appunto: «Per quanto mi riguarda, andrò a sedermi al mio scranno di deputato. Chi è stato al governo sa che le leve sono in Parlamento. E io sarò lì. Ci sono tante cose da fare: la legge elettorale, la riforma delle intercettazioni»…


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