La locomotiva non cammina più
LECCO. Bologna-Milano. La luce che va e che viene. Nello scompartimento si discute di quanto sia difficile non appoggiare la testa sullo schienale del sedile: «dovrebbe essere bianco e invece è giallastro». Accenti diversi raccattati in 12 lunghe ore di viaggio da Crotone in su accomunati dalla puzza della latrina intasata e dal fatto di non potersi permettere il biglietto della Freccia Rossa. La porta del vagone è bloccata e a ogni fermata aumenta l’angoscia di una coppia di signori del sud. Come faranno, arrivati finalmente a Milano, a sbarcare le loro valigie? Ma perché non li sistemano questi benedetti treni?
Costa Masnaga, provincia di Lecco. Un binario morto che entra in una fabbrica chiusa. Davanti ai cancelli carpentieri, elettricisti, falegnami specializzati nella manutenzione e nel rinnovamento delle carrozze ferroviarie. Dentro ci sono ancora tre vagoni da sistemare, ma l’attività è ferma da un anno e gli operai (132 in tutto), vivono con la cassa integrazione e aspettano ancora quattro stipendi arretrati, in parte dalla ditta e in parte dall’Inps. Eppure, nonostante tutto, sono loro i più determinati difensori della loro azienda. Sanno fare il loro lavoro, sanno che ce n’è bisogno e non vogliono che la loro attività finisca su quel binario morto. Qui, anzi, lo chiamano «San Binario», convinti che sono proprio quelle due linee di ferro allacciate alla rete ferroviaria nazionale a tenere insieme l’ultimo filo di speranza per poter tornare a lavorare.
La storia delle officine di Costa Masnaga è emblematica. Si tratta di una fabbrica storica del lecchese, sia dal punto di vista industriale che dal punto di vista politico. Eppure è sull’orlo del terzo fallimento negli ultimi dieci anni. Negli anni Novanta questi operai hanno lavorato sui vagoni di mezzo mondo, dalla metropolitana di Roma, ai treni dell’Euro tunnel sotto la Manica, fino alle gloriose carrozze dell’Oriente Express. Nel 2002 le officine in fallimento sono passate alla Rsi (Rail Services International), altra storica azienda del settore, erede delle officine ferroviarie Wagon-Lits di Milano: fin dai primi del Novecento specializzata nella manutenzione delle carrozze Letto. La Rsi, controllata dalla multinazionale americana Colony, nel 2000 lascia il sito storico di Greco-Pirelli. Un classico, la destinazione d’uso dei terreni è cambiata. Fruttano di più le speculazioni edilizie e finanziarie delle attività industriali. E allora Rsi trasferisce la produzione a Costa Masnaga. Portato a termine l’affare, gli americani se ne vanno e nel 2006 lasciano l’azienda con milioni di debiti. A questo punto entra in scena il gruppo Barletta che controlla la società Interporto Sud Europa di Marcianise (Caserta). «Barletta ci disse che non ci sarebbe mai mancato lo stipendio a fine mese», ricordano i lavoratori. E invece eccoli qui fuori dai cancelli chiusi e con il portafoglio vuoto. Cosa è successo? Rsi aveva commesse da Trenitalia, il lavoro è stato fatto, ma siccome Rsi fa parte del consorzio Corifer che ha debiti con Trenitalia, quel lavoro non viene saldato e Barletta ha fermato tutto. Sulla carta non fa una grinza, ma nella realtà i vagoni dei treni sono fatiscenti e gli operai che li sanno sistemare stanno perdendo il posto di lavoro. Una soluzione ci sarebbe. Trenord, la società formata da Trenitalia e dalle Ferrovie Nord, dice di essere pronta a dare nuove commesse ma chiede garanzie da Barletta, lui dice di averle fornite eppure nulla si muove. Dopo lunghe trattative con la Regione Lombardia, al ministero dello Sviluppo e con le istituzioni locali (il sindaco di Costa Masnaga ha bloccato la destinazione d’uso del terreno) non se ne viene ancora a capo. Il gioco delle parti continua e non si capisce se davvero l’azienda vuole continuare a lavorare oppure se ha altri piani per il futuro. «È necessario che a questo punto le parti si siedano intorno alla stesso tavolo con noi e con le istituzioni e si faccia finalmente chiarezza – spiega Diego Riva, segretario della Fiom di Lecco – non si può più continuare con questo balletto. Anche perché la tensione dei lavoratori comprensibilmente sale».
Gli operai infatti sono in assemblea permanente e presidiano la loro fabbrica. «Ci dicono che la proprietà non vuole chiudere, ma ogni giorno vediamo arrivare qualcuno che pignora qualcosa. Gli impiegati dentro non hanno più neppure il riscaldamento. L’altro giorno volevamo mettere un vagone sulla rete ferroviaria e bloccare il traffico. Gli operai qui non si arrenderanno. Altro che leggi sul licenziamento, se facessero quello che vuole l’Europa a noi ci avrebbero già lasciato tutti a casa».
Lecco-Milano. Venerdì 4 novembre. Dopodomani. I treni per i pendolari sono in ritardo e fatiscenti, come al solito. Ma questa volta gli operai di Costa Masnaga in sciopero prenderanno il treno per venire a Milano e portare la loro rabbia sotto le finestre del Pirellone.
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