La lunga marcia di Occupy Oakland così l’America riscopre lo sciopero

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SAN FRANCISCO.  Mercoledì milioni di americani seduti davanti alla televisione sono stati colpiti da una notizia inusuale. In collegamento in diretta da Oakland, la città  portuale nella baia di San Francisco, i reporter davano conto – in diretta, eccitati e incredubili – di un corteo che si ingrossava sotto i loro occhi. Settemila persone, famiglie con carrozzelle, ciclisti, insegnanti, casalinghe, militanti sindacali – tutti convocati da Occupy Oakland – marciavano verso il grande porto della città , e ne bloccavano gli ingressi, fermando i porta container, formando picchetti, fino all’annuncio ufficiale che tutte le operazioni erano “shut down”, bloccate, fino al giorno seguente. Era la vittoria dello “sciopero generale”. Anche se poi, a margine della mobilitazione, ci sono stati violenti scontri tra la polizia e manifestanti con 40 arresti e diversi feriti.
“Sciopero generale” non appartiene più in America né al linguaggio sindacale, né tantomeno quello politico, perché evoca confusamente qualcosa di sinistro: la lotta di classe, il comunismo, la contestazione sistema di vita americano. E quindi, vedere normali persone sfilare con cartelli tipo “il capitalismo è disumano”, o “ridistribuite l’abbondanza” e l’onnipresente “siamo il 99 per cento”, costituisce se non altro, una ironia della storia, e un elemento nuovo del paesaggio.
Ecco la storia di una giornata particolare e di quello che l’ha preceduta.
Oakland, 400 mila abitanti, si specchia in San Francisco dall’altra parte della baia. Siamo nell’ultimo lembo dell’occidente, davanti c’è solo l’Oceano pacifico e nell’immenso porto entrano ed escono le maestose portacontainer cinesi, che hanno cambiato il paesaggio economico della California. La baia che ha costruito con il ferro il Golden Gate e la flotta navale della seconda guerra mondiale, oggi si affida all’acciaio di Pechino per rifare il suo ponte danneggiato dal terremoto di vent’anni fa. Cinese americana è anche il sindaco di Oakland, la signora Jean Kuan, sessantottina in gioventù, oggi prima donna asiatica a governare una grande città  americana. Nel passato della città , la presenza di Jack London e un grande sindacato dei portuali; poi l’avventura politica delle Pantere Nere, un notevole grado di violenza, l’avanguardia musicale del rap.
Tutto comincia circa un mese fa, quando sull’onda di Occupy Wall Street a New York, anche ad Oakland e a San Francisco vengono montate tende davanti ai grandi edifici della finanza per testimoniare l’avidità  e l’egoismo delle banche e delle grandi corporations. Non sono molte persone, però. Se c’è qualcosa che invece ha emozionato, nel reame del capitalismo, è stata la morte prematura di Steve Jobs. In migliaia si sono realmente commossi, portando fiori e bigliettini da appicciare sulle vetrine degli Apple Store.
E così viene il 25 Ottobre. Il sindaco Jean Kuan è a Washington per servizio, e in sua assenza il capo della polizia decide che le tende nel centro di Oakland vanno rimosse. Sporcano, circola droga. Gli agenti si vestono come se fossero a Bagdad e nella notte attaccano i dormienti. Scontri, si radunano mille persone. Sassaiola. Lacrimogeni. Un ragazzo biondo cade colpito alla testa, ha gli occhi sbarrati, non parla. Nessuno lo sapeva, ma è un marine. Si chiama Scott Olsen ed è appena tornato in patria dopo due turni in Iraq. Scampato ad Al Quaeda, ora ha danni cerebrali e il cranio fratturato in patria. A questo punto, gli avvenimenti precipitano. Le tende vengono rimontate, la polizia ritirata; il sindaco si scusa, ma ormai gli avvenimenti prendono una piega imprevista. L’assemblea del movimento vota lo “sciopero generale” del 99 per cento del popolo contro l’uno per cento dei ricchi che sta mettendo alla fame l’America. Sembra una velleità  sull’onda dell’emozione, ma la decisione è presa: il 2 novembre tutta la città  deve fermarsi: negozi, scuole, uffici. Tre cortei si incaricheranno di chiudere le banche e nel pomeriggio dovrà  fermarsi anche il porto, circondato da un picchetto di massa. E qui continuano le cose strane ed impreviste: il movimento riceve aiuti inaspettati. Prima il sindacato dei portuali, poi gli insegnanti, poi le infermiere e infine – e questo è stato davvero clamoroso – dei poliziotti, che in una lettera aperta si sono dichiarati anche loro “facenti parte del 99 per cento”, impossibilitati per legge a scioperare, ma per nulla entusiasti di fronteggiare i manifestanti.
E così è arrivato il giorno fatidico. Subito dopo Halloween, in cui tutti (il 99 e l’1) avevano circolato travestiti da gatti o con parrucche viola e nella ricorrenza del “dia de los muertos” della tradizione messicana, per cui i manifesti raffiguravano uno scheletro con sombrero che annunciava la huelga e l’embargo a los ricos.
È una splendida giornata di sole e all’appuntamento si presentano insegnanti, ragazzi, portuali, pensionati, buddisti, uomini di chiesa, domestiche, commessi. Cinquanta allievi di teatro formano un balletto sulle note di I will survive, in cui i ricchi hanno il cilindro e il sigaro, mentrei poverisobbano sui gomiti. Tutti applaudono (Bertolt Brecht si sarebbe sentito a casa). Il Grand Lake Theatre, monumento architettonico degli anni Venti, gloria della città , con mosaici, colonne dorate e un organista che suona prima della proiezione dei film, annuncia «siamo orgogliosi di sospendere le proiezioni in solidarietà  con lo sciopero generale», come se fosse lo spettacolo più atteso. Le persone circolano, con estrema naturalezza, tra citazioni di Lenin e di Gandhi, invocazioni alla Comune di Parigi e appelli alla distruzione del capitale. Un uomo spiega con un cartello: “cammino come un egiziano”. Una distinta professoressa universitaria dai capelli bianchi incita la folla: “Tutto il mondo ci sta guardando!”: toh, è Angela Davis, la militante comunista che quarant’anni fa conturbò non poco i ragazzi di mezzo mondo con la sua minigonna rossa. I cortei si sistemano davanti a Wells Fargo, Citibank, Chase e le chiudono. Sfilano i professori: “el maestro luchando sta ensenando”. Un cartello: “le corporations non sono esseri umani, altrimenti in Texas le avrebbero già  messe a morte”. Zaffate di marijuana nella brezza. Un uomo molto piccolo: “poeti per il popolo”. Due ragazzi ben vestiti: “installate pannelli solari per uno sviluppo sostenibile”. Liberate i prigionieri! Legalizzate la cannabis! Tassate i ricchi! Aumentate le paghe! Finanziate le scuole! Sospendete gli sfratti! Ritiriamo i soldi da Citibank! Capitalismo = game over.
E così è andato avanti tutto il giorno, fino alla fiumana di persone che ha bloccato il porto; a notte fonda, poi, un po’ di scontri tra cinquanta anarchici e altrettanti poliziotti.
Così è andato il primo sciopero generale in America nel ventunesimo secolo. Se ce ne saranno altri, non si sa. Ma certo chi ha inventato lo slogan del 99 per cento, deve essere un genio del marketing: ha capito che il terreno era fertile.


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