La terza volta di Daniel Ortega
Solita litania al momento di celebrare la vittoria: «Mettiamo da parte le differenze e lavoriamo per un Guatemala migliore, per rafforzare la sicurezza e aumentare le opportunità di lavoro», ha dichiarato il candidato del suo partito personale (Partido Patriota), che ha ottenuto il 54,9% dei voti, contro il 45,1% del dell’imprenditore miliardario e populista Manuel Baldizon, anche lui di destra. Durante la sua campagna, Perez Molina ha presentato un programma definito di «mano dura» (diventato il nomignolo che lo accompagna) contro il narcotraffico e per la sicurezza, che insieme alla povertà e il sottosviluppo sono i principali problemi del Guatemala. Ma nessuno dei due candidati era interessato ad affrontarli e risolversi. Nel paese centramericano di 14 milioni di abitanti si registrano almeno 20 omicidi al giorno, dati ufficiali. Nel 2009 sono state uccise 6.489 persone, mentre nel 2011 gli omicidi sono già 3.652. Perez Molina nel 2007 era stato sconfitto al ballottaggio da Alvaro Colom, un pallido socialdemocratico. «Mano dura» cercherà di ripetere, probabilmente, gli schemi di contro-insurrezione appresi (dagli istruttori Usa) e praticati negli anni della guerra civile (1960-1996, almeno 200 mila morti), quando divenne generale e fece carriera organizzando massacri di civili nelle comunità indie e campesine, torturando e assassinando guerriglieri veri o presunti. Ci sono video e foto che lo mostrano in piedi vicino ai corpi delle sue vittime spiegando i metodi da usare e usati nella «guerra sucia». Peggio ancora: ci sono documentate indagini che vincolano il nuovo presidente del Guatemala all’assassinio, nel ’98, del vescovo Juan Gerardi che dopo gli accordi di pace del ’96 aveva intrapreso una esaustiva investigazione sui crimini di lesa umanità perpetrati dai militari (in una proporzione dell’85%) durante la guerra civile.
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