L’appello di Yiulia dalla cella “La Ue non punisca l’Ucraina”

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Mosca – «Oggi il mio appello vi arriva da dietro le sbarre di una prigione. La mia cella mi consente appena pochi passi tra una parete e l’altra. Solo una piccola grata mi lascia vedere l’azzurro del cielo d’autunno». Yiulia Tymoshenko comincia così una lettera inviata ieri “Alle nazioni, ai Parlamenti, e ai Leader dell’Unione Europea”. L’icona della Rivoluzione arancione che fece sognare l’Ucraina, è in carcere ormai dal 5 agosto, condannata a sette anni, e sommersa da altre pesantissime inchieste giudiziarie, compreso un omicidio di 15 anni fa. Nel messaggio ai suoi ex colleghi che la accolsero tante volte a Bruxelles, prima da rivoluzionaria poi da premier di un Paese in cerca di alleanze, accenna alle sue restrizioni fisiche, confessa che solo «quando si versa in queste condizioni, si capisce il grave pericolo che minaccia la libertà  di un popolo intero».
Forse per pudore, evita di precisare che nella cella 242, al secondo piano del carcere Lukianovskij, nella più sovietica delle periferie di Kiev, una telecamera controlla giorno e notte i suoi movimenti e le sue azioni. Sui monitor di servizio le guardie carcerarie scrutano ogni respiro di quella che fu universalmente etichettata come «il capo di governo più sexy del pianeta». Adesso convive con due criminali comuni a cui ha regalato una scorta di gomme alla nicotina nella speranza di convincerle a fumare un po’ meno. Le hanno imposto di sciogliere la treccia bionda che era la sua griffe personale. Unica concessione, i pasti dietetici confezionati a casa e consegnati ogni mattina dal marito agli ispettori del carcere.
Ma premessa a parte, Yiulia Tymoshenko intende lanciare un messaggio politico. Ai leader della Ue, attualmente distratti da problemi più prosaici e più urgenti, chiede di «non punire l’Ucraina per i gravi soprusi dell’attuale governo Yanukovich». Una strategia, certamente concordata con i vertici del suo partito Batkivscina (Patria) che da settimane cercano disperatamente una linea da seguire. Delusi dalla tiepida reazione occidentale alle accuse pretestuose e al trattamento riservato alla loro “pasionaria”, hanno scelto di andare oltre. Nella lettera “Yiulia la Tigre” chiede di firmare ugualmente l’accordo di associazione dell’Ucraina alla Ue, «qualunque sia la mia sorte». Il negoziato tecnico per l’associazione, un primo passo verso l’eventuale adesione di Kiev alla Ue, si è concluso da pochi giorni. L’arresto della Tymoshenko crea però gravi imbarazzi che la stessa ex premier invita a dimenticare in nome «delle legittime aspirazioni europee del popolo ucraino». Gesto nobile che previene un’altra più grave amarezza: che l’associazione venga ratificata comunque senza nemmeno il suo “via libera”.
E l’amarezza traspare chiaramente dal passo della lettera in cui Tymoshenko ricorda «il contributo dell’Ucraina alla lotta per la democrazia nel mondo», in quei giorni del 2004 «quando, da Parigi a Roma, ogni spirito libero indossava apposta un capo arancione». «Adesso la libertà  è stata mandata in esilio. Altri compagni di lotta sono in carcere senza nemmeno un finto processo». Si è chiuso il disegno che lei stessa aveva anticipato un anno fa dopo le prime indagini nei suoi confronti, in un’intervista a Repubblica: «Vogliono arrestarmi, è evidente. Spero che l’Europa mi aiuti». Un primo appello, senza risposta.


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