LE FORZE NUOVE DEL MONDO ARABO CHE HANNO TRAVOLTO I REGIMI

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Quello che più stupisce nelle attuali rivolte arabe è il loro carattere quasi globale, dal momento che investono pressoché l’intero mondo musulmano, dal Maghreb al Medio Oriente. Questi movimenti, sia pure con esiti diversi, lasceranno senza alcun dubbio tracce profonde. Il mondo musulmano, a lungo immobile, da ora in poi non lo sarà  più. Ovviamente, questa trasformazione avrà  ripercussioni a livello planetario.
Vedo la nascita, nel mondo musulmano, di quelle che definirei “forze nuove”, perché hanno un nuovo impatto politico e culturale. Le “forze nuove” all’opera sono tre: i giovani, le donne e Internet. Anche se in parte repressi, insieme questi elementi stravolgono la paralisi del mondo musulmano, dove fino a ieri c’erano soltanto quattro poteri dominanti.
Anzitutto c’erano i dittatori. Ma di loro, oggi resta soltanto quello siriano, il cui destino appare del resto sempre più minacciato. Altrove, in Libia, Egitto, Tunisia, e adesso perfino nello Yemen, sono stati tutti detronizzati. Tra le altre forze in gioco che limitano la speranza di cambiamento e che sembrano sostituirsi con lo stesso potere di dominio alle deposte dittature, c’è poi l’esercito. È il protagonista di quanto sta accadendo in Egitto e di quanto accade da anni in Algeria, dove non ci sono state rivolte proprio perché i militari gestiscono il potere con sufficiente durezza.
Il terzo potere è rappresentato dagli islamici, che sotto le dittature erano spesso imbavagliati e strettamente sorvegliati, e la cui ascesa sembra adesso inarrestabile. Infine, c’è la forza dei mullah iraniani, caso unico ma di una importanza strategica sempre fondamentale. In quel mondo, non va neanche dimenticata l’opposizione crescente tra sciiti e sunniti: le rivolte di questi mesi, lungi dall’indebolirla, sembrano piuttosto averne liberato la violenza. Sbaglia chi asserisce che si tratta soltanto di movimenti di liberazione: c’è infatti il rischio che la sola cosa che questi producano sia la sostituzione di una dominazione oscurantista con un’altra altrettanto retrograda.
In questa “primavera” ci sono però diverse “primavere”, che differiscono in base ai Paesi dove esse avvengono. Agli occhi di un democratico europeo, un caso positivo è la libertaria Turchia, che, per esempio, lavora alacremente affinché ci sia un’intesa obbiettiva e sempre più larga tra la Lega araba e i Paesi occidentali. La globalizzazione non va per forza bocciata, soprattutto quando porta al riavvicinamento di poteri e culture diverse. C’è poi il Libano, segnato dalla diversità  dei suoi popoli e dall’instabilità  dei suoi governi. C’è il Marocco, dove è lecito chiedersi se la monarchia riuscirà  a moderare la sua repressione per dare ascolto al popolo. Ci sono due Paesi il cui futuro è molto incerto: l’Iraq, dove l’intervento statunitense ha prodotto frutti ancora immaturi e quindi difficilmente giudicabili; e l’Afghanistan, dove nessuno sa quello che potrà  accadere tra pochi anni soltanto.
E che cosa dire dell’Arabia Saudita, Paese sconcertante dove vige uno dei regimi più oppressivi del pianeta ma che gode di un prestigio enorme perché è la terra dove sorge il luogo sacro dell’Islam, la Mecca? Sbalordisce inoltre che, malgrado la totale mancanza di libertà  interna, l’Arabia mantenga ottimi rapporti con gli Stati Uniti. Ora, questo Stato perverso finanzia fuori dalle sue frontiere i movimenti islamici più ambigui e nefasti.
Quali sono gli altri fattori che possono determinare il successo o il fallimento di queste rivolte? Elementi decisivi possono essere il conflitto tra Israele e i palestinesi, o anche le ricchezze petrolifere di alcune regioni. Ma temo che nella maggior parte di questi Paesi non si produrranno autentiche rivoluzioni. Al momento possiamo dire che è stato avviato un processo di cambiamento, e che la maggior parte di questi popoli è giunta a un bivio, foriero di grandi speranze. Ma sarebbe ingenuo e illusorio aspettarsi che i risultati positivi delle rivolte arabe arrivino in fretta.


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