Le opposizioni premono «Deve lasciare al più presto»

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ROMA — Di mattina, l’invenzione di un’opposizione unita che garantisce il numero legale in Aula e che non vota il rendiconto dello Stato fa tremare i polsi a molti nel Pd ma poi — quando la maggioranza si inchioda a quota 308 — il segretario Pier Luigi Bersani mostra un’espressione più che soddisfatta: «Come vedete, l’opposizione sa fare il suo mestiere…», dice in Transatlantico facendosi spazio tra una selva di microfoni mentre gli sfila alle spalle Antonio Di Pietro. E anche Pier Ferdinando Casini celebra «la festa di liberazione dal berlusconismo»: e si precipita alla tabaccheria della Camera per acquistare un grosso sigaro cubano prima di infilarsi in ascensore.
Ora però l’opposizione deve pazientare ancora prima di poter dare lo sfratto definitivo al titolare di Palazzo Chigi. Bersani in Aula — mentre Berlusconi prende appunti e fa fotografare i suoi pensieri vergati su un foglio bianco — avverte: «Faremo la nostra parte per il Paese. Se Berlusconi però non si dimettesse, le opposizioni considererebbero iniziative ulteriori». La mozione di sfiducia è pronta, dunque? «Vedremo, aspettiamo di sapere quali sono intenzioni di Berlusconi», svicola il leader del Pd che poi attende il comunicato del Quirinale per confermare di condividere la exit strategy tessuta dal presidente della Repubblica.
Così quando Berlusconi è già  rientrato a Palazzo Grazioli, con l’impegno di dimettersi dopo l’approvazione della legge di stabilità , Casini e Bersani mostrano di avere i riflessi prontissimi: «La legge di stabilità  può essere approvata rapidamente, l’incontro tra il presidente della Repubblica e il premier dimostra che esiste una via d’uscita», argomenta il leader dell’Udc. Seguito a ruota da Bersani che però fa un distinguo in più: «Ci riserviamo un esame rigoroso del contenuto dell’annunciato maxiemendamento alla legge di stabilità  per verificare le condizioni che ne permettano, anche in caso di una nostra contrarietà , una rapida approvazione».
La road map, dunque, sembra tracciata. Il Pd manda i suoi dirigenti nei talk show serali per dire che l’opposizione ha fatto la sua parte e che vigilerà  sul percorso concordato: «Per quanto riguarda il maxiemendamento, prima vogliamo vedere i testi», dice la capogruppo Anna Finocchiaro nello studio di Lilli Gruber. Mentre il vicesegretario Enrico Letta, ospite di Giovanni Floris a Ballarò, parla di «giornata storica in cui finisce il berlusconismo» anche se questa svolta «è arrivata con troppo ritardo».
Nel giorno della «svolta», però, ci pensa Antonio Di Pietro a dire che l’unica via d’uscita da questa situazione sono le elezioni anticipate. Lo pensano in molti ma lo dice solo lui. Se Bersani infatti dice che «resta la nostra proposta per un governo di transizione mentre Alfano e Letta rappresenterebbero solo la continuità », Di Pietro punta dritto alle urne. E segnala pure l’effetto collaterale che potrebbe generare la linea concordata al Quirinale: «Con questa mossa Berlusconi prende un altro mese di tempo per tentare di comperare qualche personaggio in cerca di autore, provando così a recuperare quella maggioranza che ha dimostrato di non avere».
I soliti sospetti di Di Pietro non impensieriscono Bersani («Certi metodi di Berlusconi hanno un limite…»), ma poi le dichiarazioni del premier ai Tg della sera, che danno per scontato il ricorso alle urne, fanno scattare l’allarme nel Pd: «È sconcertante che Berlusconi, battuto alla Camera, cerchi di condizionare un percorso che è pienamente nelle prerogative del capo dello Stato e del Parlamento». Per cui è necessario accelerare i tempi. E così il capogruppo dell’Udc al Senato, Giampiero D’Alia, fa firmare ai colleghi del Pd e dell’Idv una lettera indirizzata al presidente Schifani per chiedere di anticipare il voto sulla Finanziaria calendarizzata in Aula per martedì 15: «Se domani (oggi, ndr) arriva il maxiemendamento, noi al Senato potremmo votare venerdì e così consegnare la legge di stabilità  alla Camera con una settimana di anticipo». A quel punto, però, per l’opposizione e per il Pd in particolare inizierebbe la partita più difficile: quella per limitare i danni sociali di una manovra aggiuntiva molto pesante richiesta dalla Ue.


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