Le tre verità  (che nessuno dice) per spiegare le ragioni della crisi

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La Cina e gli emergenti, e in Europa la Germania, hanno ripreso a crescere rapidamente, come prima della crisi. Chi come l’Italia arrancava da anni con crescita anemica tra lo zero e l’uno per cento l’anno ha continuato ad arrancare. È comunque sembrato che l’Anno Orribile fosse solo una drammatica parentesi.
Ma poi, durante l’estate 2011, la crisi ha presentato il conto. Il mondo e — in modo particolarmente drammatico — gli italiani si sono accorti che la luna di miele dei Paesi europei dentro all’Unione monetaria, se mai cominciata, era improvvisamente finita. Con l’esplodere dello spread tra Btp e Bund a 400 punti base, il costo dell’indebitamento a 10 anni per lo Stato italiano è salito fino al 6 per cento, un livello raggiunto solo negli anni Novanta prima dell’euro. Le famiglie italiane si sono trovate a chiedersi con inquietudine inattesa come difendere il valore dei loro risparmi.
L’autunno non è stato finora meglio dell’estate. Lo spread Btp-Bund è arrivato fino a 450 punti. Soprattutto, l’indice delle vendite al dettaglio è ritornato al suo livello del 2005, un segno che a causa della crisi anche la grande distribuzione sta perdendo colpi, dopo decenni di crescita positiva. A svuotare le tasche dei consumatori sono l’inflazione e la disoccupazione. I prezzi al consumo, spinti dal petrolio e ora dall’aumento dell’Iva, sono tornati a crescere oltre il 3 per cento. Ma anche la disoccupazione non scende e rimane oltre l’8% in Italia, al 10% in Europa e al 9% in America. Di fronte a questi numeri, Ben Bernanke, il presidente della Federal Reserve americana, si è impegnato a mantenere le attuali condizioni di abbondanza (teorica) di credito fino a metà  2013. Ed è probabile che anche la Bce di Mario Draghi continui a seguirlo su questa strada.
Nessuno dei grandi potenti del mondo al G20 sa come venire fuori dalla crisi. Si deve però trovare almeno il coraggio di dire tre verità . La prima è che la crisi ha specificità  locali — italiane ed europee — ma è essenzialmente una crisi globale. Ce lo ha ricordato pochi giorni fa il fallimento di MF Global, una società  americana di brokeraggio. MF Global aveva il lato dell’attivo del suo bilancio pieno di titoli greci che hanno perso valore con l’ormai sicuro default della Grecia: la perdita di valore dei titoli greci si è mangiata il capitale della società . Ma MF Global è stata affossata anche dall’uso di pratiche contabili disinvolte e sofisticate che però in definitiva usavano un trucco molto artigianale: quello di attribuire le perdite al conto titoli dei clienti mentre gli eventuali profitti rimanevano sui conti della società . Tutto ciò è l’effetto collaterale di ciò che in gergo si chiama «proprietary trading» e che l’ex governatore della Fed Paul Volcker ha cercato di vietare alle banche commerciali, perdendo la sua battaglia contro le lobby congressuali delle banche di investimento. Quella di MF Global è una storia già  sentita tante volte negli ultimi tre anni. Il crac di Lehman Brothers e i crac diventati salvataggi di AIG e di Bear Stearns contengono tutti la stessa combinazione di assunzione eccessiva di rischi e di scarso senso etico negli affari che porta a un’ingiustificabile inclinazione di alcuni operatori finanziari verso attività  illegali. Un marchio di infamia per la finanza globale. Sulla finanza globale c’è però da ricordare una seconda verità . Oggi ci sembra che il mondo sia retto dal predominio dell’oligarchia finanziaria sugli sfortunati che compongono il parco buoi, quelli che pagano il conto in tanti modi: come contribuenti che non possono spostare i loro redditi nei paradisi fiscali, come lavoratori vessati da capi strapagati e anche come semplici sottoscrittori di prodotti finanziari e assicurativi. Eppure dovremmo ricordarci che la finanza globale dei derivati non è il diavolo. Negli anni precedenti al crac di Lehman, l’abbondanza di liquidità  ha consentito i mutui sub prime, operazioni immobiliari che non avrebbero mai dovuto avere luogo. Ma ha anche consentito a milioni di famiglie di comprare casa grazie ai bassi tassi di interesse. E ha anche creato condizioni di credito facile che hanno certamente favorito gli investimenti. Non è solo colpa della finanza se il credito facile è stato sfruttato per fare fusioni e acquisizioni che solo occasionalmente hanno creato valore aziendale e più spesso si sono invece tradotte in benefici privati, cioè aumenti di stipendio e bonus, per i manager delle aziende coinvolte e per le società  di intermediazione e di private equity.
La terza verità  è che con la globalizzazione che abbiamo visto fino a oggi non si può andare avanti. «Occupy Wall Street» e gli indignati nelle varie lingue enfatizzano, sia pure con proposte demagogiche, l’insostenibilità  sociale e umana dell’attuale processo di globalizzazione. E il G20 di Cannes cercherà  di mettere una pezza a questi problemi giganteschi, di rattoppare una coperta che è diventata corta. Sarebbe già  qualcosa se dal summit si uscisse con un comunicato veritiero, che per una volta ci racconti che la crescita globale non sarà  «forte, sostenibile ed equilibrata». Se sarà  forte (come ieri) non sarà  equilibrata e sostenibile perché basata su una finanza non riformata. Per essere equilibrata e sostenibile, dovrà  probabilmente essere meno forte. Purtroppo il mondo globale di domani non ha a disposizione facili scorciatoie.


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