«Non lascio, mi sfiducino in Parlamento»

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ROMA — Incomprensioni con il Quirinale sulla forma delle misure approvate in serata. Uno scontro aperto con Giulio Tremonti che non accenna a placarsi. Le notizie di uno smottamento ulteriore e inatteso di una fetta del Pdl alla Camera. Giuliano Ferrara che usa la metafora del plotone di esecuzione, che a Montecitorio e in altre sedi sarebbe già  schierato contro il Cavaliere.
La giornata di Berlusconi ieri è stata a dir poco complicata, come due giorni fa. Ma nonostante tutto il premier continua a dire che ha alcuna voglia di fare un passo indietro, o di lato. Ha alzato la voce per ribadirlo. È convinto, e lo resterà , che il problema non sia lui, ma quelli che additano lui come il problema dell’Italia, a cominciare da Casini, «nel quale ho sperato sino all’ultimo e che mi ha profondamento deluso».
Questi concetti il premier li ha esternati ieri sera in apertura del Consiglio dei ministri, perché le parole restino agli atti, a cominciare da coloro che persino nell’esecutivo, Tremonti in testa, nutrono seri dubbi, esternati, sulla sua permanenza a Palazzo Chigi.
«Noi facciamo il nostro dovere e stasera lo dimostriamo, il resto sono chiacchiere, entro il 20 novembre queste misure saranno legge dello Stato, se qualcuno vorrà  sfiduciarmi dovrà  avere il coraggio di farlo in Parlamento, alla luce del sole, e sulle misure che la comunità  internazionale ci chiede. E allora vedremo se il problema sono io o coloro che remano in modo irresponsabile contro gli interessi del Paese».
Ieri pomeriggio, ieri mattina, ieri sera, era questa la posizione del presidente del Consiglio. Per tutta la giornata il Cavaliere, nonostante le notizie di uno smottamento del Pdl alla Camera, ha lavorato alle misure approvate dal governo in serata, ha limato i testi inseriti nel maxi emendamento che cambierà  il volto della legge di Stabilità , in discussione al Senato, ha presieduto un ufficio di presidenza del Pdl, a palazzo Grazioli, dove ha instillato fiducia al gruppo dirigente del partito in vista dei prossimi appuntamenti.
Ieri notte Berlusconi lasciava Palazzo Chigi convinto di avere sotto braccio la garanzie che oggi porterà  al vertice di Cannes, a quel G20 che forse non avrà  l’Italia in testa alla lista dei dossier delicati, ma che certamente chiederà  garanzie ulteriori al nostro premier, a partire dall’incontro mattutino con Zapatero, la signora Merkel, il presidente Sarkozy, alcuni rappresentanti della Bce, il presidente della Commissione europea Barroso e il presidente del Consiglio della Ue, Van Rompuy.
Di certo il premier avrebbe preferito che alcune delle misure avessero la forma del decreto legge, in modo da poterle presentare al G20 come norme già  vigenti. Ma l’importante per Berlusconi è il passaggio in Consiglio dei ministri di ieri sera, insieme a una tabella di marcia che dovrebbe trasformare in legge le misure nei prossimi quindici giorni, al netto di sgambetti in Parlamento.
Sicuramente il fatto che a tarda sera il Colle abbia fatto informalmente sapere che non gradiva lo strumento del decreto non ha fatto piacere al Cavaliere. Nel corso della riunione del governo è anche scattata una ricerca spasmodica della posizione ufficiale del Quirinale. Se non altro perché la linea che veniva accreditata al Colle coincideva esattamente con le obiezioni poste qualche ora prima da Tremonti, anche lui decisamente scettico sull’adozione immediata di un decreto.
Non per caso durante l’Ufficio di presidenza del Pdl è andato in scena una sorta di processo al ministro dell’Economia con Sacconi, Brunetta e Cicchitto a rimarcare l’insostenibilità  della posizione del ministro, che «è ormai con un piedi fuori dal governo», si è ascoltato a palazzo Grazioli.
Oggi Angelino Alfano, segretario del Pdl, sarà  ricevuto da Napolitano e consegnerà  il messaggio ufficiale del partito di Berlusconi: nessun altro governo in caso di crisi, solo elezioni anticipate.


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Ci sono molte ragioni per deprecare Berlusconi (alcune delle quali riguardano proprio i suoi comizi di questi giorni). Ma non c’è nessuna buona ragione per deprecare anche l’Italia e la storia d’Italia al fine di condannare il suo premier pro tempore.

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