Non svendere il patrimonio pubblico

Loading

Potrebbero derivarne danni sociali ingenti subiti in primis dai nostri piccoli agricoltori che non potendo competere con quei colossi nell’acquistare, finirebbero per vendere anche i loro appezzamenti (come già  avvenne quando i latifondisti comprarono le proprietà  comuni messe in vendita da Quintino Sella).
La scelta di vendere è definitiva e ci riguarda tutti, presenti e futuri. Andrebbe fatta con grande cautela soprattutto quando ci si trova sotto pressione internazionale. Il processo di elaborazione teorica e pratica della categoria giuridico-costituzionale dei beni comuni discende da questa considerazione. Il cambiamento dei rapporti di forza fra settore privato azionario e settore pubblico a favore del primo rende i governi così deboli da non poter operare nell’interesse del popolo sovrano. La necessità  urgente di forte tutela giuridica dei beni comuni come proprietà  di tutti che i governi devono amministrare fiduciariamente nasce da questo squilibrio di potere prodotto dalla globalizzazione. Lo Stato italiano è proprietario, direttamente o tramite enti pubblici, di ingenti beni che fanno gola a molti. Gran parte di questi, che forniscono utilità  indispensabili per garantire la sovranità  dello Stato o la sua capacità  di offrire servizi pubblici, non possono essere trattati come fossero proprietà  privata del governo in carica. Alcuni dei beni dello Stato sono costituiti da edifici, acquedotti e terreni agricoli che soccorrono direttamente bisogni fondamentali della persona come coprirsi, bere o nutrirsi. Altri sono infrastrutture, come strade, autostrade, aeroporti, e porti che richiedono un assiduo investimento in manutenzione. Altri sono beni che i giuristi classificano come immateriali come le frequenze radiotelevisive, gli slot aeronautici (per esempio la tratta aerea Milano-Roma), i brevetti ottenuti con la ricerca pubblica, le partecipazioni pubbliche nell’industria produttrice di beni o servizi. Ancora, importanti beni servono allo Stato per erogare i suoi servizi alla collettività : scuole, ospedali, caserme, università , cimiteri, discariche, ambasciate. Ci sono poi i beni culturali: statue, monumenti, dipinti, reperti archeologici, lasciti del passato che dobbiamo trasmettere ai nostri successori. Per farlo occorre mantenerli accessibili a tutti godendone in comune, al di fuori dal modello del «divieto di accesso» che è tipico della proprietà  (sia essa pubblica o privata). Beni comuni, governati dalla stessa logica di accesso sono poi i parchi, le foreste, i ghiacciai, le spiagge, il mare territoriale, l’aria da respirare o l’acqua da bere, a loro volta beni di grande valore collettivo il cui ingente valore d’uso non è tradizionalmente patrimonializzato.
Sebbene dotato di un patrimonio ingentissimo (fra cui ingenti riserve auree), il nostro settore pubblico è impoverito. I Comuni sono sul lastrico; gli edifici pubblici cadono spesso a pezzi e il territorio non riceve manutenzione. L’Italia è come un nobile decaduto che non sa gestire le sue ingenti proprietà , viene truffato dal maggiordomo e continua a indebitarsi per poter mantenere il proprio dispendioso stile di vita. Proprio come la nobiltà  francese finì per svendere i propri palazzi, anche l’Italia, oberata dai debiti, sta vendendo (spesso svendendo) il suo patrimonio pubblico per «far cassa» e tirare avanti. Eppure se il patrimonio pubblico rimasto fosse amministrato davvero nell’interesse comune si potrebbero ottenere parecchi quattrini: molte concessioni (acque sorgive, autostrade, stabilimenti balneari, frequenze radiotelevisive, cave) sono rilasciate molto al di sotto del valore di mercato. La Gran Bretagna dando in affitto il suo etere ottiene circa 5 miliardi di sterline l’anno (grosso modo quanto si incasserebbe vendendo una tantum i terreni agricoli) contro i poco più di 50 milioni di euro che ottiene l’Italia.
Una buona amministrazione del patrimonio pubblico richiede sopratutto ordine, chiarezza nelle regole del gioco e democrazia nel decidere sulle cose di tutti. Le regole attualmente vigenti sono obsolete, oscure e quindi agevolmente eludibili. È importante farne di nuove e dotarle di innovativi strumenti applicativi. Una legge delega sulla riforma di beni pubblici predisposta dalla Commissione Rodotà  contenente chiarezza su quali beni siano comuni e come vadano amministrati non è mai stata neppure discussa. Proprio nei momenti di maggior crisi sarebbe bene che alla logica della svendita subentrasse quella del buon padre di famiglia.
* Professore di Diritto internazionale comparato all’Università  della California di San Francisco


Related Articles

Inquinamento, debiti e morti sul lavoro l’acciaieria diventata la Grecia d’Italia

Loading

La storia si ripete: ieri si è votata una nuova legge per il dissequestro dell’altoforno numero 2 L’8 giugno è morto un altro l’avoratore: l’azienda lo accusa di aver causato l’incidente

GORGONA. L’ex veterinario della colonia penale e l’appello «Non uccidete gli animali con cui lavoravano i detenuti»

Loading

le condizioni dei cani della colonia penale dell’isola di Gorgona — protagonisti fino a un anno fa di un coraggioso e importante progetto di rieducazione terapeutica dei detenuti — sono trasformati ormai in macilenti scheletri chiusi in un recinto

Il fracking nel Regno Unito

Loading

fracking2

Le nuove tecniche per l’estrazione di gas naturale sono molto discusse e ci sono proteste contro i primi pozzi di esplorazione

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment